La valle di Ospitale

Castagneti, arativi, boschi e pascoli

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La valle di Ospitale
Tipo di risorsa Tipo: lettura
Materia di appartenenza Materia: Geografia scuole superiori

Lettura integrativa di Geografia nelle scuole superiori


In termini di utilizzazione del suolo la valle è stata per oltre mille anni divisa in tre aree, costituenti settori di cerchio di diametro progressivamente maggiore. La parte inferiore ricoperta da castagneti formanti un manto ininterrotto ovunque lo permettesse la clivometria, seppure la proprietà fosse divisa in particelle di poche decine di are: si deve sottolineare che, a differenza dei castagneti che rivestono la stessa dorsale sul fronte opposto, quello pistoiese, nell'alto Frignano i castagneti sono proprietà privata 4). La parte mediana è costituita da un mosaico di particelle di ogni forma , secondo la pendenza ricoperte di bosco, di pascolo o di seminativi, quella superiore è vestita, alla base, da boschi di faggio, a quote superiori, oltre il limite della vegetazione arborea, da un unico manto prativo. È nella parte mediana che sono disseminate le abitazioni dei valligiani, riunite in agglomerati di cinque-dieci case, oltre ad un numero forse doppio di fienili posti al margine di un campo. Ai fienili destinati a raccogliere il prodotto dei campi più distanti corrisponde, nell'area del castagneto, la presenza di un "metato", dimora provvisoria ed essiccatoio, nella particella di ciascun proprietario.

La definizione quantitativa dei tre settori può tentarsi contando sulla precisione del Catasto e sulla mancanza di aggiornamenti, tale che il quadro delle destinazioni rispecchia quello degli anni '50. Operando alcune riduzioni per riportare alla superficie idrologica quella catastale, desunta da fogli che varcano gli spartiacque, si può definire in 200 ettari la superficie dei castagneti, in 1.350 quella del bosco ceduo, in 230 quella del seminativo, in 400 quella dei pascoli interposti, nelle aree più pietrose, tra castagneti e seminativi, in 300 i pascoli oltre i limiti della vegetazione arborea. La differenza alla superficie totale si presume costituita per 200 ettari dal greto dei torrenti, per 70 dalle mulattiere e dalle aree fabbricate.

In termini di proprietà, se i settori inferiori erano ripartiti tra la popolazione valligiana secondo i metri della "democrazia della povertà", quello superiore costituiva parte della superficie pertinente all'Abbazia nonantolana, concessa in enfiteusi alla comunità di Fanano. La superficie totale di cui Nonantola vantava il dominio eminente nel comune consisteva di 3.000 ettari, per un quarto dislocati nella valle di Ospitale, per un altro quarto attorno al lago di Pratignana, quindi pertinente per metà al territorio di Serrazzone, sfruttata, non senza conflitti, congiuntamente dalla comunità di Ospitale e da quella della valle attigua. La differenza delle vicende fondiarie delle superfici del dominio abbaziale e di quelle di proprietà familiare è palesata dalla ripartizione catastale: mentre le particelle dei settori inferiori, siano castagneti, seminativi o bosco ceduo, hanno dimensioni medie inferiori alle 50 are, nel settore superiore le particelle di ceduo o di pascolo raggiungono dimensioni di 10-20 ettari.

Le vicende secolari di un'enfiteusi modifica

La combinazione tra lo sfruttamento privato delle particelle familiari e quello collettivo della superficie detenuta dalla comunità per livello fornisce la chiave della storia dell'economia della valle. Propone una ricostruzione eloquente della complessa composizione un documento prezioso, il parere che l'anno 1895 l'avvocato Carlo Gallini stilò per il comune di Fanano dopo la delibera che autorizzava il sindaco ad adire la giustizia contro gli acquirenti del latifondo sul quale la comunità aveva esercitato il dominio utile. Menzionate investiture del 1643 e del 1711, Gallini ricorda che nessuna opposizione risulta essere stata espressa, contro la disponibilità collettiva, nei secoli successivi, e riferisce che il Comune, che non riusciva a contenere gli abusi dei propri membri, nel 1843 offriva il dominio utile di boschi e pascoli al duca di Modena, Francesco IV, in cambio di una rendita equivalente al 5 per cento del suo valore e della continuità dei diritti collettivi di pascolo del bestiame familiare e di raccolta della legna morta 5).

Il governo estense era attento al buon governo dei boschi, che aveva avuto un acceso fautore in Ludovico Antonio Muratori, bibliotecario ducale, il quale aveva tradotto l'esperienza di consulente governativo nel proprio trattato di filosofia politica, che propone una pagina ammirevole sulla necessità di sottrarre i boschi dell'Appennino all'arbitrio della gestione collettiva 6). Il duca accoglieva, quindi, l'istanza del Comune, le parti stabilivano in 100.000 lire il valore dei diritti enfiteutici, l'atto veniva stipulato il 27 novembre 1844. Non sappiamo se le guardie ducali riuscissero a contenere gli abusi che i guardiani comunali non erano stati in grado, per le immaginabili connivenze, di impedire. Il vasto dominio montano non sarebbe rimasto a lungo nella sfera pubblica: subentrato il Regno italiano al Ducato estense, un governo famelico di denaro avrebbe posto all'asta boschi e pascoli di Fanano, che sarebbero stati aggiudicati all'unico partecipante, la società dei signori Davide Nacman e Israele Guastalla. Fino dall'età napoleonica nel Ducato modenese sussisteva, ricorda Salvioli, la consuetudine dell'acquisto dei beni ecclesiastici da parte di finanzieri ebraici, da tempo lontano interessati alla gestione tributaria del Ducato 7): la consuetudine sarebbe stata osservata nonostante che la cessione non compromettesse i titoli dell'Abbazia, cui gli acquirenti riconosceva il dominio eminente.

L'elemento più significativo dell'analisi di Gallini dei precedenti della vertenza è la prova del clima di abuso con cui una popolazione montana pletorica assedia, nel crepuscolo dell'800, grandi proprietà montane che non ha saputo sfruttare razionalmente neppure in condizioni giuridiche più favorevoli. La disputa ha origine, infatti, dalle rimostranze dei valligiani contro la severità dei sorveglianti degli imprenditori israeliti, che avrebbero imposto l'osservanza delle regole di utilizzo con puntiglio che i guardiani comunali non avevano mai usato, che si può dubitare avessero espletato tanto i sorveglianti ducali quanti quelli regi.

Negli ultimi decenni dell'Ottocento deve reputarsi che la pressione su pascoli e boschi di uso collettivo si accentuasse, in conseguenza della crescita della popolazione, che nella valle provoca l'elevazione del livello di popolamento, con la trasformazione in abitazioni degli edifici a quota 900-1.000 che i toponimi testimoniano essere stati, fino allora, ricoveri estivi, tegge. In corrispondenza al moto verso monte, trasformandosi i prati privati in seminativi, l'opera dei guardiani dei pascoli enfiteutici dovette divenire più ardua, il conflitto con la popolazione più acuto.

Il 20 giugno 1877 il Regno emana la nuova legge forestale, che autorizza il taglio indiscriminato dei i boschi di pianura e collina, ma pone qualche vincolo allo sfruttamento di quelli oltre il limite del castagneto, frenando la distruzione che le alienazioni dei beni collettivi, largamente praticate dai primi governi unitari, hanno incoraggiato a tutte le latitudini della Penisola 8). Siccome deve presumersi che Nacman e Guastalla non avessero adottato una prassi di taglio diversa da quella degli altri acquirenti di antichi boschi ecclesiastici, la circostanza offriva al Comune, deciso a tutelare un democratico abuso, un'ineccepibile ragione di doglianza, il cui impiego costringeva gli acquirenti alla ricerca del compromesso, che perseguivano offrendo una parte della proprietà al Comune, in cambio dell'affrancamento dell'altra dalle servitù collettive, una soluzione che avrebbe anticipato quella che imporrà, più tardi, l'Autorità giudiziaria, definendo le due frazioni secondo rapporti diversi da quelli suggeriti dagli utilisti 9).

Nonostante che il parere di Gallini sia redatto per la controparte, non è difficile desumerne che, effettuati i primi tagli, i consorti israeliti avessero verificato che il reddito del pascolo era appena sufficiente a pagare il personale necessario al controllo di una pluralità di pastori cui solo la pratica dell'abuso consentiva qualche guadagno, tanto da indurli a difficili dubbi sulla strategia di gestione.

I titolari successivi della proprietà montana possono essere desunti dai documenti conservati nell'archivio dei conti Forni, i possidenti modenesi che saranno gli ultimi proprietari privati della parte più cospicua del latifondo silvopastorale 10). Ai primi proprietari sarebbero succeduti, i documenti non dicono a quale titolo, un cospicuo novero di contitolari, che rappresentano famiglie patrizie modenesi e finanzieri ebrei, che avrebbero venduto, nel 1908, ad un docente originario dell'alto Bolognese e residente a Pavia, il professor Farneti, che l'anno stesso cedeva metà delle proprie ragioni a tale Corona, con il quale intraprendeva lo sfruttamento della proprietà mirando soprattutto a identificare e sfruttare cave di ardesia. L'esito della gestione risultava, però, negativo, e nel 1916 Corona rivendeva la parte acquistata a Farneti, che l'anno medesimo cedeva l'intera proprietà a un imprenditore bolognese, Dalla.

Era durante il periodo di proprietà di Dalla che, acuitosi il conflitto con i titolari delle servitù collettive, le parti adivano il Regio Commissario per la liquidazione degli usi civici, che nel 1926 incaricava un perito, il geometra Giacomelli, della stima dei diritti comunitari e della designazione della parte della proprietà corrispondente al loro valore. Il perito assegnava al Comune, stimandoli di valore equivalente ai diritti comunitari, 1.619,75 ettari, costituiti in prevalenza da pascoli, ne assegnava a Dalla 689 come corrispondenti al valore dei diritti di taglio, in prevalenza cedui e fustaie. Alla perizia giudiziale Dalla opponeva la stima di un'autorità dell'estimo, il professor Perini, ma il Commissario respingeva, il 7 settembre 1929, ogni eccezione e convalidava la stima di Giacomelli.

Verificato, deve presumersi, che i tagli consentiti dalle disposizioni forestali non rendevano particolarmente attraente la gestione, Dalla cedeva, nel 1942, al conte Forni, che avrebbe gestito l'azienda silvopastorale nel ventennio in cui, secondo l'espressione di un maestro dell'estimo, Giuseppe Medici, "il valore di macchiatico diventa negativo", i costi di taglio e di esbosco superano, cioè, i ricavi del legname, imponendo conti in passivo ai proprietari di boschi dispiegati lungo tutto il crinale appenninico 11). L'erosione dei redditi forestali è documentata con eloquenza dai sintetici bilanci redatti da Giuseppe Forni. La persistente passività motiva l'assenso del possidente modenese alle offerte della Regione Emilia-Romagna, che negli anni successivi alla costituzione si impegna a dilatare il proprio demanio per costituirvi riserve e parchi, una finalità antitetica allo sfruttamento tradizionale, consentita, all'alba degli anni '70, dall'esito della fuga dalla montagna, che nel decennio precedente ha drasticamente contratto la pressione per il pascolo e il bosco.