L'Obbligo di Fedeltà nel Codice Pisanelli

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Il Code Civil imponeva la fedeltà coniugale come un dovere reciproco dei coniugi ma ne sanzionava le violazioni soprattutto nei confronti della donna. L'adulterio della donna, commesso in ogni tempo, giustificava la domanda di divorzio da parte del marito. Il tradimento del marito all'inverso non era invece causa di divorzio per la moglie, a meno che non fosse accompagnato dall'aggravante della presenza della concubina nella casa coniugale. Tale divario fu superato solo con la legge 27 luglio del 1884. L'adulterio, una volta provato, era causa perentoria di divorzio e non era contrastabile. Difficile è il caso in cui il coniuge compie l'adulterio in buona fede, cioè quando crede di non essere soggetto a vincolo coniugale. Alcuni giudici ritennero non legittima la richiesta di divorzio per assenza di volontà. La Cassazione però ne ammise la possibilità poiché la legge civile non può essere influenzata dall'assenza di intenzione colpevole. La legislazione francese influenzò naturalmente il codice civile italiano del 1865 che disciplinava l'adulterio femminile in modo diverso dal maschile.

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L'Obbligo di Fedeltà nel Codice Pisanelli
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Diritto di famiglia
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 100%

Il Concubinato

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In Francia, con la legge Naquet, scomparve, come abbiamo visto, la distinzione tra donna e uomo ma prima era possibile la sanzionazione civile per il marito solo se la concubina abitava nella casa comune mentre il codice civile italiano permetteva la sanzione anche nell'ipotesi in cui la concubina fosse stata mantenuta notoriamente in altro luogo o qualora fossero concorse circostanze tali da produrre ingiuria grave verso la moglie. La giurisprudenza italiana accoglieva una nozione di casa coniugale e di concubinato coincidente con quella della giurisprudenza francese. Non c'era bisogno di domicilio, bastava la stessa residenza o la semplice abitazione per essere considerata come casa coniugale. Si ritenne in giurisprudenza addirittura che anche durante la separazione di fatto se il marito avesse convissuto con altra donna in casa coniugale era comunque colpevole di concubinato. Per la nozione di concubinato se era la donna bastava anche una sola volta per essere in concubinato, per l'uomo invece c'era bisogno di una vera e propria relazione continuativa tanto da far sorgere il dubbio di una sostituzione di moglie. Nonostante questo però era ammesso il divorzio anche se a seguito di una relazione non continuativa se era accompagnato da circostanze tali da configurare l'ingiuria grave (sorpreso il marito in flagrante, scandalosa consuetudine, pubblicità dei rapporti adulterini in famiglia e davanti ai figli, pericolo per l'economia domestica). L'articolo 150 del codice civile italiano, inoltre, permetteva di configurare l'adulterio anche se la relazione fosse stata consumata fuori dalla casa coniugale ma fosse notoria. Rientrano in questo articolo anche l'amante che avesse mantenuto notoriamente fuori dalla casa coniugale la concubina convivente con il proprio marito. Anche in Italia si ritenne che se il concubinato non fosse provato a pieno si poteva comunque chiedere separazione per ingiuria grave. Per quanto riguarda la prove erano ammesse in ogni forma e anche le presunzioni purché concludenti e solide. Tra le prove era ammessa anche la corrispondenza postale sottratta anche con inganno. Interessante su questo la Corte di Appello di Milano che ammette l'utilizzo di questo sistema fraudolento da parte del marito poiché la moglie si era resa a sua volta di una violazione di legge che senza quelle lettere non sarebbe stato possibile dimostrare.

Il Reato di Adulterio e Concubinato

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Lo sfavore verso la donna, appianato in campo civile dalla legge Naquet, rimase per molto tempo in campo penale in Francia. Prima di tutto per il marito si configurava il reato di concubinato solo se avesse trattenuto relazione nella casa coniugale. Oltre ai requisiti richiesti quindi per il caso della donna (consumazione carnale, valido matrimonio che vincoli alla fedeltà e volontà di commettere adulterio), per l'uomo era richiesto anche la doppia circostanza di mantenere la concubina e la presenza della stessa nella casa coniugale. Anche la pena era diversa. La donna era condannata a detenzione per un minimo di tre mesi fino ad un massimo di due anni mentre il marito era passibile di sola ammenda anche se considerevole. Il marito che uccideva la moglie e l'amante in flagrante aveva uno sconto di pena che non era riconosciuto invece alla moglie. L'amante del marito non veniva mai punita mentre l'amante della donna aveva pene più severe anche della stessa donna. Era possibile poi dimostrare l'adulterio solo con il delitto flagrante e le lettere scritte di suo pugno. Per quanto riguarda l'azione penale il codice francese prevedeva la persecuzione solo in presenza di una querela da parte da parte del coniuge leso. La possibilità di accusa cessava nel caso che il coniuge leso a sua volta aveva una relazione concubinale. Nel silenzio della legge anche il perdono espresso o tacito era considerato causa ostativa all'azione penale. In Italia, nonostante una più ampia attuazione del principio di uguaglianza coniugale, permaneva lo sfavore della donna. L'articolo 357 numero 2 giustificava il successivo adulterio del marito se era commesso prima dalla donna. Con il codice Zanardelli il reato di concubinato si configurava non solo nella casa coniugale ma anche tenuto notoriamente altrove (circostanza atte a stabilite l'abitudine e la notorietà). Si ravvisava il reato anche dopo la separazione personale dei coniugi. Vi era una riduzione di pena se l'adultero fosse stato legalmente separato o abbandonato dall'altro coniuge. Entrambi potevano essere puniti con pena tra un minimo di tre ad un massimo di trenta mesi. Per effetto della condanna il marito perde il diritto di esercitare la potestà maritale. La concubina era inoltre punibile con la reclusione fino ad un anno se si dimostrava la sua consapevolezza nell'intrattenere una relazione con uomo sposato. Identica pena per l'amante della donna che con l'abolizione dell'articolo 485 del codice penale (che prevedeva la sorpresa in flagranza o alla prova per iscritto proveniente dall'imputato) fu parificato alla donna e aggiustata l'iniquità che lo vedeva possibile condannato anche se la sua amante fosse stata assolta. Il reato di adulterio e concubinato era perseguibile solo su querela della parte lesa e si estendeva anche all'adultera e alla concubina. Fu fissato un termine di decadenza di tre mesi dal momento dell'avvenuta conoscenza. Le Corti italiane facevano decorrere il termine dal momento in cui il coniuge avesse acquistato l'assoluta certezza dell'adulterio. Per il principio della compensazione delle colpe non era permessa poi la presentazione della querela da parte del coniuge dal cui comportamento fosse scaturita la sentenza di separazione. Quindi la moglie era assolta qualora avesse dimostrato che il marito nei cinque anni precedenti si fosse macchiato del reato di concubinato o l'avesse fatta prostituire. Al pari il marito era assolto qualora avesse dimostrato che la moglie nei cinque anni precedenti fosse stata rea di adulterio. Il Codice Zanardelli, infine, innovando il codice penale del 1859, riproducendo sostanzialmente il disposto del codice penale francese, ebbe a stabilire espressamente che la remissione del coniuge offeso poteva avvenire sia in pendenza sia dopo la condanna e senza subordinare in questo caso la cessazione dell'esecuzione della pena, alla manifestazione della volontà di riunirsi con il coniuge colpevole e che la morte del coniuge querelante producesse gli effetti della remissione.