Introduzione alla filologia italiana

La filologia italiana, come del resto ogni filologia, classica, romanza, ecc., è una scienza che si propone l'obiettivo fondamentale di offrire alla lettura testi di area italiana i più precisi possibili, privi di errori che possano pregiudicarne il significato. E' una scienza perché, come le consorelle, attiva una serie di metodi, tecniche e procedimenti scientifici largamente collaudati nel corso dei secoli e sempre più attendibili.

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Introduzione alla filologia italiana
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Filologia italiana

L'area d'interesse della filologia italiana sono i testi prodotti, geograficamente parlando, in Italia e l'arco cronologico di pertinenza è millenario, in quanto parte dagli albori della lingua italiana, o per meglio dire, dai testi scritti nei vari dialetti italiani dalle origini a oggi.

Pertanto al filologo si richiedono ampie competenze non soltanto tecniche, ma anche linguistiche e una conoscenza molto approfondita della letteratura e delle culture regionali nel senso più ampio del termine .

Ciò premesso veniamo a indicare, sia pure sommariamente, i presupposti specifici della disciplina.

Poiché, come si è detto, moltissimi testi studiati e indagati dalla filologia italiana risalgono al Medioevo, la disciplina deve giocoforza confrontarsi in via preliminare con il materiale scrittorio dell'epoca, che normalmente era costituito dalla pergamena, pelle di pecora o di vitello, resa particolarmente sottile con una paziente opera di levigatura con pietra pomice. La pergamena poteva essere cancellata e successivamente riutilizzata per nuovi testi ritenuti più importanti di quelli erasi. Più fogli di pergamena uniti insieme da due assicelle di legno andavano a formare il famoso codice. Il secondo luogo la filologia italiana deve, di fronte ai testi antichi, essere in grado di leggere diversi tipi di scrittura, che sul suolo italiano erano moltissimi e assai diversi da luogo a luogo. Tra le difficoltà più note della filologia quella della “grafia” è senz'altro tra le più ragguardevoli. Quelli che indico qui di seguito sono solo alcuni tipi di scrittura, che in tutto erano una trentina: capitale corsiva, capitale rustica, minuscola corsiva, onciale, beneventana, cassinese, gotica, umanistica, ecc.

Oltre a confrontarsi con le scritture, il filologo deve essere anche in grado di comprendere le tecniche di scrittura degli antichi copisti, e in particolare di sciogliere le abbreviazioni, largamente invalse per sveltire la scrittura stessa dei manoscritti. Ricordo qui alcune tecniche usatissime dai copisti, come le cosiddette note tironiane, per cui il segno che assomigliava al sette [7] valeva “et”; mentre l'altro che assomigliava al nove [9], valeva “cum”; e queste abbreviazioni non sono che le più comuni e note. La comprensione del testo antico diventa ancor più problematica, allorché si pensi che, oltre alle varie scritture e alle abbreviazioni, il filologo deve separare una parola dall'altra, dato che normalmente i copisti non facevano uso di punteggiatura. Nei codici curati personalmente dagli stessi scrittori, si pensi al Petrarca, la punteggiatura si riduceva ad alcuni segni, la virgola, il punto e virgola, il punto; a volte il punto esclamativo, che spesso coincideva con quello interrogativo. Comunque in questo settore le regole erano le più svariate e, come dicevamo i copisti scrivevano le parole unite senza interruzione. E' come se scrivessi parte della frase precedente in questo modo: “ilfilologodeveseparareunaparoladallaltradatochenormalmenteicopistinonfacevanousodipunteggiatura”: si fa altresì notare che non era nemmeno previsto l'uso degli apostrofi, per cui alla filologia tocca la separazione delle parole e l'inserimento della giusta punteggiatura e ortografia secondo l'uso moderno. Ancora più difficile è il lavoro se il filologo ha a che fare con testi di poesia, per cui non solo devono essere separate le parole, ripristinata la punteggiatura e l'ortografia, ma anche individuati gli “a capo”: di qui si richiedono anche nozioni di metrica e versificazione.

Le cose si complicano ulteriormente quando si pensi al fatto che spesso alcune parole erano scritte in modo errato, delle quali si richiede la correzione; altre volte i copisti sbagliavano a copiare un testo saltando un periodo o più, vanificando il significato stesso di un testo scritto. L'errore di copiatura era frequentissimo, e il più noto fra tutti era il cosiddetto “salto da uguale a uguale”, dovuto al fatto che l'occhio del copista si fermava su una parola, riprendendo a copiare successivamente non dalla stessa ma da una uguale, che però era posta dopo un paio di frasi.

Nel caso di un “salto” di interi periodi, le difficoltà si fanno insormontabili. Un testo può essere “integrato” finché si tratta del salto di una parola o due al massimo. Di fronte a lacune testuali ampie altro non si può fare se non confrontare il testo lacunoso con un altro codice coevo che riporti lo stesso testo. Tale soluzione ovviamente risulta facile qualora la tradizione ci abbia conservato più copie di un testo; quando il codice è unico la lacuna non può essere sanata: in tal caso il filologo la segnalerà con la famosa “croce della disperazione” [crux desperationis].

A parte la casistica del codice unico, normalmente la tradizione ci offre più di un codice; a volte, nel caso di opere famose, molti codici; altre volte ancora, moltissimi codici, com'è accaduto con la “Commedia”, della quale se ne contano circa seicento. Ora, la presenza di codici numerosi può essere un fatto positivo, ma in altri può invece costituire un problema, poiché occorre fra questi operare una selezione.

La “recensione” [ recensio] dei codici tràditi fa parte del lavoro più noto del filologo; sulla questione ci soffermeremo tra poco.

Riprendiamo il discorso interrotto soffermandoci sulla “recensio”. Poiché la filologia ha come obiettivo primario l'allestimento di un'edizione critica che vada a ricostruire un testo scevro degli errori dei copisti, nella presunzione di avvicinarsi il più possibile all'originale e pertanto alla volontà dell'autore del manoscritto, nel corso del tempo sono stati approntati dei metodi per conseguire lo scopo.

Il primo lavoro che richiede il restauro di un testo è quello di sondare un po' tutti i manoscritti che la tradizione ha portato sino a noi.

All'inizio pertanto si tratta di classificare, con un'indagine minuziosa nelle biblioteche, praticamente tutto il materiale a disposizione. In secondo luogo occorre altresì stabilire una graduatoria fra i testimoni della tradizione, con lo scopo di verificare e di studiare solo i codici migliori, eliminando quelli che sono derivazioni magari scorrette di codici anteriori che presentano una lezione più corretta. L'individuazione dei codici che servono, il loro confronto e la successiva espulsione dall'indagine del filologo prende il nome convenzionale di “collatio” [collazione] e di “eliminatio codicum”, ovvero “confronto” tra i codici e di “eliminazione” di quelli che risultano pletorici e pertanto inservibili per l'edizione critica.

La filologia tra Otto e Novecento, grazie a studiosi brillanti ha individuato varie tecniche per il confronto dei codici; e ormai è invalsa la consuetudine di elaborare quelli che si definiscono stemmi, o in latino “stemma codicum”. Gli stemmi inquadrano graficamente il problema, e diventano sempre più articolati e ramificati a seconda che il filologo abbia a confrontarsi con due, tre o più codici. Lo stemma esemplificativo più noto è quello relativo a due codici A e B. Lo stemma fa intuire graficamente qual è la questione: o B deriva da A oppure A deriva da B; oppure tutti e due derivano da un originale perduto ( designato con “O”), o da un manoscritto intermedio fra O e A-B, designato con una lettera greca e detto “archétipo”. Se si appura che A deriva da B o al contrario B da A, uno dei due viene escluso dall'indagine, e quindi il lavoro di restauro del testo si semplifica. Riducendo a grafico la questione sopra descritta, il filologo elaborerà questi stemmi:

 A       B       O        O
 |       |       /\       | 
 B       A      A  B      α
                          /\
                         A  B

Si presenta ovviamente la situazione più semplice; per gli approfondimenti si rimanda alla nota bibliografica, soprattutto perché da questo momento in poi il lavoro del filologo si fa certosino, puntuale e molto dettagliato. In questa sede si possono dare solo brevissimi cenni agli studi che preludono all'edizione critica. Dopo il confronto tra i codici, l'editore avrà cura di descrivere in maniera estremamente dettagliata il manoscritto di riferimento, indicandone altezza e lunghezza, i materiali di cui è fatto, se è rilegato in modo raffinato o piuttosto semplice, quante sono le “carte” o “fogli” che lo compongono. Oggi i libri presentano la numerazione di ogni singola pagina; nei manoscritti invece si indicava solo il “foglio”: in pratica due pagine, delle quali veniva indicato il “verso” [pagina a sinistra di chi legge] e il “recto” [pagina a destra]. In conclusione, un codice, supponiamo, di 50 “carte” o “fogli”, corrisponderebbe oggi a un libro di 100 pagine.

Successivamente si dà luogo a una minuziosa indagine linguistica, volta a individuare gli errori [examinatio]; l'eliminazione di essi [emendatio] in base a un'analisi estremamente raffinata e storicamente minuziosa della lingua in uso in una determinata epoca e dei riflessi della tradizione linguistica sull'autore. In questo senso il filologo si dovrà confrontare con tutta una serie di problemi grammaticali e linguistici in senso lato. Pertanto farà uso di tutti gli strumenti a propria disposizione, dai vocabolari etimologici e storici agli atlanti linguistici per finire alle cosiddette “concordanze”, ossia ai repertori linguistici che riportano tutte le parole presenti in una data opera: famose in questo senso e largamente usate dagli studiosi sono per esempio le concordanze della “Commedia”. Quindi l'editore dovrà rapportarsi oltre che con la grafia delle parole, grafia che presenta varianti fondamentali attraverso i secoli a ogni parte della grammatica: dalla fonetica allo studio storico dei mutamenti subiti nei secoli delle vocali e delle consonanti, per misurarsi alla fine con la sintassi e il lessico storici.

Se a essere sottoposto a indagine è un testo poetico, ulteriori problemi sorgeranno a livello di metrica storica, per cui il filologo dovrà sondare l'evoluzione di determinate forme metriche, dal sonetto alla canzone, le varie modalità di scrittura delle strofe, i problemi relativi all'uso degli accenti ritmici, dei versi e delle rime.

Dare qui una sia pure vaga idea della complessità dei problemi è davvero impossibile.

Alcune parole si possono invece spendere sull'esito finale del lungo lavoro preliminare all'edizione critica del testo, ovvero come si presenta l'edizione critica nella sua stesura finale. L'edizione critica, oltre al testo emendato, che si suppone essere molto vicino all'originale perduto, offre in nota tutti gli elementi atti a far comprendere attraverso quali rapporti con le varianti dei vari manoscritti si è giunti al testo definitivo.

Bibliografia

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Nella sterminata bibliografia sull'argomento, rimando ad alcuni strumenti preliminari.

  1. Per un primissimo orientamento: Mario Puppo, La filologia, in Manuale critico-bibliografico per lo studio della letteratura italiana, Torino, SEI, 1987, pp. 30–41; oppure il manuale di Giorgio Inglese, Come si legge un'edizione critica. Elementi di filologia italiana, Roma, Carocci, 2007.
  2. Armando Balduino, “Manuale di filologia italiana, Firenze, Sansoni, 1979 e 1989.
  3. Michele Barbi, La nuova filologia e l'edizione dei nostri scrittori da Dante a Manzoni, Firenze, sansoni, 1973.
  4. Alfredo Stussi, Nuovo avviamento agli studi di filologia italiana, Bologna, Il Mulino, 1989.