Con il termine Matrimonio si intende un legame fra due o più persone finalizzato alla formazione di una famiglia.

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Il matrimonio
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La definizione del matrimonio è strettamente connessa alla cultura cui si riferisce, e al periodo storico. In molti casi essa passa per la legittimazione giuridica, sociale o religiosa di una relazione fra due individui che potrebbero anche già aver contratto di fatto questo genere di legame. Le motivazioni che portano all'ufficializzazione formale di una relazione sono di vario genere, e solitamente non sono uniche: motivazioni sentimentali o sessuali che necessitano di un'approvazione sociale o religiosa, motivazioni economiche, patrimoniali o politiche che invece richiedono una legittimazione giuridica e quant'altro.

Il concetto di matrimonio è legato a quello di famiglia: i due coniugi formano un nucleo familiare che spesso in seguito si espande con i figli. Il matrimonio è stato tradizionalmente un prerequisito per creare una famiglia, che solitamente costituisce un mattone costruttivo di una comunità o società.

Oggi si ha una concezione del Matrimonio come Atto Giuridico. Tale Atto Giuridico sarebbe la Celebrazione. Tale celebrazione che si pone alla base della vita coniugale distingue il Matrimonio dal Concubinato. Caratteristica del primo sarebbe poi anche la indissolubilità e la stabilità del rapporto.

L'Evoluzione Storica del Matrimonio

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Il matrimonio nel diritto romano era essenzialmente una situazione di fatto da cui l'ordinamento faceva discendere gli effetti civili. La forma non era disciplinata. I suoi presupposti erano la convivenza dell'uomo e della donna e la capacità di agire degli sposi, il conubium, che non tutti avevano, differentemente dal diritto moderno. Nel diritto romano arcaico vi erano tre forme tradizionali:

  • la coemptio, la forma nettamente più diffusa, nella quale il padre plebeo metteva in atto una vendita fittizia della figlia, così emancipandola, al marito. Era una cerimonia di tipo civile, adattamento di un contratto di compravendita, la mancipatio, in cui si sostituiva all'acquisto della proprietà su beni materiali, l'acquisto dell'autorità maritale sulla donna;
  • la confarreatio, forma minoritaria, scelta dai patrizi e da chi aspirava a cariche religiose, nella quale gli sposi facevano offerta di una torta di farro a Giove Capitolino, alla presenza del sommo pontefice e di chi officiava il rito, il Flamen dialis. Era un matrimonio di tipo religioso;
  • l'usus: la coabitazione ininterrotta di un anno di un plebeo con una patrizia. Era considerato un matrimonio legale di tipo civile.

In epoca repubblicana queste formalità andarono regredendo fino a scomparire in età imperiale. Dapprima scomparve l'usus, abolito definitivamente probabilmente da Augusto, poi la coemptio, scomparsa già nel I secolo a.c. e infine la confarreatio, cerimonia scomparsa anche tra i patrizi nel I sec. d.c. A queste forme tradizionali si sostituì una forma più rituale, ma diffusa a tutti gli strati sociali, che era preceduta da un periodo più o meno lungo di fidanzamento, nella quale il fidanzato regalava un anello alla fidanzata e i promessi sposi si regalavano dei doni. La funzione era preceduta da un complesso rituale di vestizione della sposa, alla cui conclusione riceveva a casa sua lo sposo, i suoi familiari, i numerosi testimoni (anche 10) L' auspex, procedeva al sacrificio di un animale (maiale, pecora o bue) e all'esame delle viscere, per verificare il favore degli dei. Quindi in silenzio gli sposi pronunciavano la formula Ubi tu gaius, ego Gaia. Seguivano i festeggiamenti. Al loro termine la sposa veniva condotta da tre sue amiche a casa dello sposo, preceduta da un corteo condotto da tre amici dello sposo.

Il cristianesimo conservò gran parte di queste usanze, eliminando gli elementi che più richiamavano il paganesimo, come il sacrificio animale. All'aruspice si sostituì il sacerdote, quando questa figura emerse tra gli stessi cristiani. Restò l'essenzialità dello scambio del consenso. La cerimonia cristiana rimase per lungo tempo una semplice benedizione degli sposi. Col Concilio di Trento venne disciplinata dal diritto canonico, mentre nei paesi protestanti cominciò a diffondersi l'esigenza di una celebrazione avente gli effetti civili, distinta dal matrimonio religioso.

Fino all'epoca napoleonica lo Stato sostanzialmente recepiva la celebrazione matrimonio e le sue vicende (come la dichiarazione della sua nullità) così come avvenivano davanti alle autorità religiose. Col Codice Napoleonico del 1804, poi esteso fuori dei confini della Francia, invece si stabilì che il matrimonio fosse valido solo se celebrato di fronte a un ufficiale di stato civile. In Italia, con l'entrata in vigore del codice civile il 1 gennaio 1866 fu riconosciuto valore unicamente al matrimonio civile. Chi sceglieva anche il rito religioso lo celebrava precedentemente o successivamente a quello civile. Col Concordato del 1929 fu affiancato al matrimonio civile il matrimonio concordatario.

A partire dal 1984 sono stati riconosciuti gli effetti civili dei matrimoni religiosi celebrati col rito di altre confessioni religiose. Attualmente sono riconosciuti gli effetti civili dei matrimoni religiosi dei riti acattolici attraverso le seguenti intese tra Stato e confessioni religiose:

  • Tavola Valdese (conclusa 21 febbraio 1984 e approvata con la legge 449/1984, revisione conclusa il 25 gennaio 1993 e approvata con la legge 409/1993)
  • Assemblee di Dio in Italia (conclusa il 29 dicembre 1986 e approvata con la legge 517/1988)
  • Unione delle Chiese Cristiane Avventiste del Settimo Giorno (conclusa il 29 dicembre 1986 e approvata con la legge 516/1988, revisione conclusa il 6 novembre 1996 e approvata con la legge 637/1996)
  • Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (conclusa il 27 febbraio 1987 e approvata con la legge 101/1989, revisione conclusa il 6 novembre 1996 e approvata con la legge 638/1996)
  • Unione Cristiana Evangelica Battista d'Italia (conclusa il 29 marzo 1993 e approvata con la legge 116/1995)
  • Chiesa Evangelica Luterana in Italia (conclusa il 20 aprile 1993 e approvata con la legge 520/1995)

I Soggetti

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Il codice civile prevede alcuni Requisiti per contrarre matrimonio la cui mancanza comporta la impossibilità di contrarre matrimonio indipendentemente dalla persona dell'altro coniuge. In particolare:

  • Maggiore età: non può contrarre matrimonio chi non abbia compiuto 18 anni. Peraltro, anche il minore di 18 anni che abbia già compiuto 16 anni, può essere ammesso a contrarre matrimonio ai sensi dell'art. 84 del codice civile qualora il Tribunale conceda l'autorizzazione previa verifica dei gravi motivi e l'accertamento della maturità psico-fisica del minorenne.
  • Capacità di intendere e di volere: non può validamente contrarre matrimonio l'interdetto per grave infermità di mente. Quanto al matrimonio contratto dall'incapace naturale (cioè il soggetto che sia al momento di contrarre matrimonio incapace di intendere e di volere) esso può essere impugnato a meno che vi sia stata coabitazione tra i coniugi della durata di un anno.
  • Libertà di stato: non può contrarre matrimonio chi sia già legato ad altra persona da matrimonio civile o con effetti civili. Colui che contrae un secondo matrimonio, in costanza di precedente matrimonio, incorre nel reato di bigamia.

Il medesimo codice prevede anche alcune situazioni che costituiscono Impedimenti a contrarre matrimonio. Essi si distinguono in Impedimenti Dirimenti, la cui presenza dà luogo alla nullità, e Impedimenti Impedienti, la cui presenza obbliga a pagare un'ammenda. Sono Impedimenti Dirimenti:

  • Esistenza di un precedente vincolo matrimoniale.
  • Incapacità di intendere e di volere di uno dei nubendi.
  • Minore età di uno dei nubendi (salvo che per lo stesso non sia intervenuta l'emancipazione).
  • Rapporto di parentela, affinità, adozione e affiliazione tra i nubendi.
  • Il cd. Impedimentum Criminis, ossia il matrimonio tra chi è stato condannato per Omicidio consumato o tentato ed il coniuge della persona offesa.

Sono Impedimenti Impedienti:

  • Lutto vedovile (almeno per dieci mesi dalla morte del precedente coniuge per evitare che ci sia una difficoltà nell'attribuire la paternità dei figli che dovessero nascere).
  • Mancanza di pubblicazione.

Fino alla Riforma del Diritto Familiare tra le cause di impedimento vi era l'Impotenza come Inettitudine Fisica ai Rapporti Coniugali. Ora tale vizio è diventato un vizio di errore sul consenso infatti il matrimonio può essere impugnato solo nel caso che la parte contraente era all'oscuro di tale Impotenza e non avrebbe contratto matrimonio se l'avesse conosciuto. La Giurisprudenza Canonica continua a parlare di Impotenza come causa di nullità ma solo riguardo all'Impotenza alla Congiunzione (Impotentia Coeundi, Antecedente e Perpetua, sia Assoluta, sia Relativa) e soltanto questa: non l' Impotentia Generandi, o Sterilità.

Il Matrimonio del Minore

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Il Matrimonio del Minore è disciplinato dall'art. 84 del codice civile che stabilisce che i minori di età non possono contrarre matrimonio. Lo stesso articolo prevede tuttavia una deroga: il minore che abbia compiuto i 16 anni può essere autorizzato dal tribunale per i minorenni a contrarre matrimonio. Il ricorso deve essere presentato personalmente dal minore.

Il tribunale per i minorenni decide con decreto, emesso in camera di consiglio, dopo aver accertato la maturità psico-fisica del minore, la gravità dei motivi e la fondatezza delle ragioni addotte; e dopo aver sentito il pubblico ministero, i genitori o il tutore. Il decreto viene comunicato al pubblico ministero, agli sposi, ai genitori e al tutore. Entro dieci giorni dalla comunicazione, può essere proposto reclamo contro il decreto, con ricorso alla Corte d'Appello. La corte d'appello decide con ordinanza non impugnabile, emessa in camera di consiglio. Il minore ultrasedicenne che, autorizzato, si sposa diventa minore emancipato.

In mancanza di autorizzazione, l'eventuale matrimonio celebrato davanti al parroco secondo le norme canonico non può essere trascritto nei registri dello stato civile. Se vi è stata trascrizione, è ammessa opposizione nei suoi confronti.

Le Procedure per il Matrimonio

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Sia per il matrimonio civile che per quello concordatario c'è bisogno preliminarmente delle Pubblicazioni. Per il matrimonio civile si fa con richiesta all'ufficiale di stato civile del comune dove uno degli sposi ha residenza. Nello stesso comune dove si sono svolte le pubblicazioni avverrà la celebrazione del matrimonio (art. 106 c.c.). La durata delle affissioni è di otto giorni. Il matrimonio non può essere celebrata prima del quarto giorno dalle pubblicazioni stesse e fino a centottanta giorni successivi. L'art. 100 e c.c. prevede alcuni casi per accorciare i termini mentre l'art. 101 c.c. è regolato il matrimonio in extremis. La legge n. 69/2009 ha imposto che dal 1° gennaio 2011 la pubblicazione viene effettuata anche sul sito informatico del Comune. Per il matrimonio cattolico le pubblicazioni vanno fatte affisse alle porte della chiesa parrocchiale per almeno otto giorni comprese due domeniche successive. Il parroco deve investigare eventuali impedimenti prima delle pubblicazioni stesse. Ma queste pubblicazioni non bastano. Il parroco deve far richiesta all'ufficiale dello stato civile affinché ci sia la pubblicazione anche alle porte della casa comunale. Ci può essere l'interesse o addirittura un dovere di qualcuno a fare Opposizione all'opposizione. L'art. 102 c.c. indicano chi sono mentre l'art. 103 c.c. indica i requisiti per l'atto di opposizione. Se non vengono presentate opposizioni, ed è matrimonio religioso, è rilasciato dall'ufficiale di stato civile un Certificato dell'Avvenuta Pubblicazione che è un nulla osta alla celebrazione con effetti civili. Questo atto è molto importante perché questo comporta da parte dell'ufficiale civile un impegno assoluto a trascrivere il matrimonio a cui si riferisce (in caso di un impedimento la trascrizione non può essere rifiutata ma può al massimo avviare procedure per l'annullamento). Per quanto riguarda il giorno delle Celebrazioni sia nel il matrimonio civile sia in quello religioso il celebrante deve legge gli articolo 143, 144, 147 c.c. La lettura è solamente formale nel matrimonio civile mentre assume fondamentale importanza per gli effetti civili nel matrimonio religioso dato che l'ufficiale civile può rifiutare la trascrizione se l'atto matrimoniale non contiene la menzione della lettura degli stessi. Fatta la cerimonia si procede alla Trascrizione. Essa è simile a seconda che sia per il Matrimonio Cattolico o dei Culti Acattolici. Per la Trascrizione del Matrimonio Cattolico il parroco deve redigere un Atto Matrimoniale in doppio originale. Una delle copie va trasferita all'ufficiale dello stato civile del comune in cui il matrimonio è stato celebrato. Nell'atto va inserito da trascrivere anche eventuali dichiarazioni dei coniugi consentite dalla legge civile. Con la trascrizione fatta per pubblicità nel registro dello stato civile il matrimonio religioso acquista l'efficacia civile e l'acquista retroattivamente. La trascrizione non è ammessa, ai sensi dell'artt. 12 e 16 l. matrimoniale nel caso in cui ci siano impedimenti quali l'interdizione, un precedente matrimonio tra le stesse persone o un precedente matrimonio di uno degli sposi con una terza persona. L'art. 8 degli Accordi di Villa Madama allarga le ipotesi di non trascrizione quali l'età minima, l'affinità in linea retta e l'impedimento dal delitto già previsti come inderogabili dal codice civile. La Trascrizione può essere Ordinaria (o Tempestiva) quando l'atto viene trasmesso dal parroco in cinque giorni dalla celebrazione e gli effetti retroagiscono alla celebrazione o Tardiva quando non sia trasmessa entro i cinque giorni purché sia richiesta da entrambi i contraenti o da uno con la conoscenza e senza l'opposizione dell'altro, e a condizione che ambedue gli sposi abbiano conservo lo stato libero ininterrottamente dalla celebrazione alla richiesta di trascrizione e senza pregiudicare i diritti dei terzi. Precedentemente esisteva anche una Trascrizione Straordinaria nel caso in cui il matrimonio religioso non fosse stato preceduto dalle pubblicazioni civili ma la l. n.121/1985 in applicazione degli Accordi di Villa Madama non la prevede più. Per la Trascrizione dei Culti Acattolici il procedimento è analogo e cioè entro cinque giorni dalla celebrazione regionale il ministro di culto trasmette l'atto da lui compiuto all'ufficiale di stato civile e la trascrizione ha effetto retroattivo dalla data di celebrazione.

Le Prove del Matrimonio

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La Legge rigorosamente limita l'attribuzione del diritto di stato coniugale a chi presenti l'atto di celebrazione estratto dai registri dello stato civile dove è trascritto il matrimonio civile e religioso. Il Possesso di Stato consiste in un complesso di circostanze dalla quale l'esperienza della vita sociale desume l'esistenza di un corrisponde titolo giuridico. Il possesso di stato di coniuge non è sufficiente, però, come Prova del Matrimonio perché matrimonium non praesumitur, però quando è conforme all'atto di celebrazione vale a sanare ogni eventuale difetto di forma (art. 131 c.c.). La non presentazione dell'atto di matrimonio da parte dei genitori non vale, ai sensi dell'art. 240 c.c., come impedimento al richiesta di accertare l'esistenza di un presupposto della filiazione legittima.

La Promessa di Matrimonio

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La Promessa di Matrimonio non obbliga a contrarre lo stesso. La rottura della promessa non implica alcun risarcimento dei danni per inadempimento e nemmeno una possibile penale. Diversi sono gli Sponsali cioè la promessa di futuro matrimonio fatta da persone adulte o dal minore ammesso a contrarre matrimonio e risultano da atto scritto o da richiesta di pubblicazione i quali obbligano, ai sensi dell'art. 81 c.c., a risarcire il solo danno cagionato all'altra parte per le spese fatte e le obbligazioni assunte prima del rifiuto a celebrare matrimonio a causa della promessa non mantenuta. Il risarcimento è dovuto salvo non vi sia stata una giusta causa a non contrarre il matrimonio promesso. La domanda di risarcimento va proposta entro un anno dal giorno del rifiuto a celebrare le nozze. Qualsiasi sia la causa del mancato matrimonio e da chiunque essa avvenga conseguenza di tale rottura è sempre il diritto alla restituzione dei doni fatti per la promessa di matrimonio (art. 80 c.c.): limitatamente agli oggetti inconsumabili o comunque non consumati, indipendentemente dai moti per cui la promessa non ha avuto seguito.

Il Consenso al Matrimonio

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Il Matrimonio è un Atto Puro cioè la volontà a contrarre lo stesso non può essere limitata da alcun termine o condizione (art. 108 c.c.). La volontà e il Consenso a contrarre il matrimonio si esprime con una Volontà Formale e Non Contenutistica (il classico "Sì"). Essa esprime la volontà a aderire a quello che è il matrimonio come istituto configurato nel sistema. Il consenso deve chiaramente essere libero ecco perché si nega validità al ruolo del mediatore che abbia influito sulla volontà dei due futuri sposi subordinando la celebrazione al pagamento di un corrispettivo. L'art. 122 c.c. prevede due Vizi del Volere che invalidano il matrimonio:

  • la Violenza cioè la Minaccia Grave diretta ad estorcere il consenso che viene parificato al Timore di Eccezionale Gravita derivante da cause esterne allo sposo.
  • l'errore che riguarda l'identità della persona oppure un errore essenziale su qualità personali dell'altro coniuge. L'essenzialità è prevista in diversa ipotesi spesso collegate a precedenti penali (condanne gravi, delinquenza abituale o professionale, condanne concernenti la prostituzione) oltre a quelle già ricordate dell'impotenza o la falsa attribuzione di una gravidanza in atto.

L'annullamento può essere chiesto entro un termine. Un anno di coabitazione dopo che il coniuge ha riacquistato la libertà o riconosciuto l'errore, vale come sanatoria. Anche la Simulazione è una causa di invalidità del matrimonio. Essa si può avere quando gli sposi abbiano convenuto di non adempiere gli obblighi e di non esercitare i diritti discendenti dal matrimonio (art. 123 c.c.). Naturalmente non sarà facile raggiungere una prova sicura di tale convenzione contraria all'essenza dell'atto. Sarà riconosciuta solo nei casi in cui essa si paleserà manifestamente. È fissata una decadenza per l'azione in questo caso che è decorso un anno dalla celebrazione del matrimonio ovvero se i contraenti hanno convissuto come coniugi dopo la celebrazione.

L'Invalidità del Matrimonio

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Il Matrimonio può essere riguardato sia come un atto sia come una situazione relazionale che sorge dello stesso. Se si guarda come atto nei casi patologici sarà invalido. Se invece si vedrà come una relazione esso può essere sciolto o per morto o per divorzio. La differenza appena detta è vera ma poco concretizzata nella realtà dato che spesso le due cause, invalidità e scioglimento, si vanno spesso a sovrapporre e confondere, specie dopo l'introduzione del divorzio. L' Invalidità principalmente deriva dagli anzidetti impedimenti. Essa va distinta dalla Irregolarità che è quando nell'atto di matrimonio c'è qualche inosservanza di qualche requisito imposto dalla legge. In questo caso l'atto resta valido (esempio matrimonio della vedova prima del termine del tempus lugendi o non si siano svolte le pubblicazioni). Diverso ancora è l' Inesistenza del matrimonio (termine preferibile alla Nullità Radicale). E questa è una categoria occupata dai casi più gravi nei quali manca l'elemento esteriore e manifesto della celebrazione accompagnata dalla redazione del relativo atto. Negli altri casi ci sarà più o meno gravita e saranno casi di Annullabilità. Avremo l' Annullabilità Assoluta Insanabile quando il Matrimonio è annullabile a iniziativa di qualunque soggetto senza limiti di tempo e senza possibilità di sanatoria nei casi di identità di sesso tra gli sposi (salvo vedi le nuove Unioni Civili), di precedente matrimonio in atto di almeno uno di essi, di parentela, di affinità e di adozione nelle previsioni dell'art. 87 c.c.. Altri casi sono di Annullabilità Assoluta Sanabile con il decorso di un certo periodo di tempo o è dispensabile prima, come è previsto per l'affinità derivante da precedente matrimonio annullato o sciolto. In altri casi ancora avremo un caso di Annullabilità Relativa nel senso che l'Annullamento può essere chiesto soltanto da alcune persone espressamente determinate nei casi di difetto d'età, vizi del volere e secondo un'interpretazione dell'art. 119 c.c. nei casi di matrimonio dell'interdetto per infermità di mente. Anche l'Annullabilità Relativa è Sanabile. Sul giudizio di validità del matrimonio cattolici hanno competenza i tribunali ecclesiastici. La Dichiarazione di Nullità di una sentenza di un tribunale ecclesiastico ha conseguenze ben più gravi del nostro divorzio e pertanto una sentenza di tale specie può influenzare anche il giudizio di un giudice italiano su una istanza di divorzio. Il Giudizio pendente davanti ad una giurisdizione italiana però non viene interrotto per il contemporaneo giudizio ecclesiastico di nullità. La dichiarazione di nullità o la sentenza di annullamento hanno di regola Efficacia Retroattiva. La retroattività viene temperata dall'applicazione dei principi del Matrimonio Putativo. Il Matrimonio annullato si dice Putativo quando almeno uno dei coniugi l'abbia contratto in buona fede cioè ignorando il vizio dell'atto. Ad esso è parificato il caso in cui il consenso è stato estorto a forza con violenza o determinato da terrore di eccezionale gravità (art. 128 c.c.). L'annullamento in tali casi non retroagisce neppure fino alla domanda. Gli effetti come atto valido si producono fino alla sentenza nei riguardi del coniuge e dei coniugi che contrassero matrimonio in buona fede o cedendo alla violenza. Se entrambi erano in buona fede il giudice può protrarre per ulteriori massimo tre mesi l'obbligo di corrispondere somme a favore di quello che non abbia adeguati fonti di reddito e non si sia risposato (art. 129 c.c.). Se la nullità è imputata all'altro coniuge o a un terzo può essere imposto ai responsabili anche un obbligo di pagare, eventualmente solidalmente, una congrua indennità. L'indennità, che prescinde dalla prova del danno, comprende una somma corrispondente al mantenimento per tre anni. Successivamente il coniuge in mala fede resterà obbligato, in via sussidiaria, a corrispondere al partner in stato di bisogno gli alimenti (art. 129bis c.c.). Rispetto ai figli il Matrimonio Putativo produce gli stessi effetti del Matrimonio Valido (e questo anche se in mala fede di entrambi) salvo siano casi di nullità per bigamia o incesto. Il coniuge che conosceva la causa di invalidità e non l'abbia rivelata all'altro è passibile di ammenda prevista all'art. 139 c.c.. Se inoltre la nullità è imputabile a uno dei coniugi o a un terzo ci sarà la responsabilità anzidetta (art. 129bis c.c.).

Diritti e Doveri dei Coniugi

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Nel diritto italiano il termine matrimonio è utilizzato sia per indicare l'atto stesso del matrimonio (cosiddetto matrimonium in fieri), sia per indicare il rapporto che ne consegue per gli sposi (cosiddetto matrimonium in facto).

L'art. 143 del Codice civile stabilisce che il matrimonio attribuisce ai coniugi diritti e doveri reciproci. In particolare, sui coniugi gravano i doveri di fedeltà, assistenza, collaborazione e coabitazione. I coniugi sono inoltre tenuti a provvedere al sostentamento della famiglia, ciascuno in base alle proprie sostanze e alle proprie capacità di lavoro.

Tra i Diritti-Doveri si ricordano:

  • Dovere di fedeltà: Contrariamente a quanto si pensa comunemente, il dovere di fedeltà si riferisce solo in parte ai rapporti sessuali. Il divieto impone al coniuge di non instaurare una relazione affettiva che possa eguagliare o superare quella con l'altro coniuge. Ovviamente, questo divieto è incoercibile: l'ordinamento non ha modo di obbligare i cittadini a rispettarlo. La norma rappresenta descrive un comportamento che si spera di ottenere, ma che non si può forzare, soprattutto ora che l'infedeltà coniugale non è più sanzionata dal Codice penale.
  • Dovere di assistenza: I coniugi sono tenuti all'assistenza morale e materiale reciproca: ogni coniuge deve aiutare l'altro a soddisfare i suoi bisogni e le sue necessità.
  • Dovere di collaborazione: I coniugi devono collaborare nell'interesse della famiglia. Devono cioè decidere insieme tutti gli aspetti della vita della famiglia, tra i quali il più importante è il luogo di residenza della famiglia.
  • Dovere di coabitazione: I coniugi sono tenuti a risiedere abitualmente insieme. Non sono tenuti invece ad avere lo stesso domicilio. L'obbligo di coabitazione è temperato dalle particolari esigenze dei coniugi: un viaggio di lavoro che obbliga un coniuge ad allontanarsi dalla residenza familiare non lo porta a violare l'obbligo di coabitazione.
  • Sostentamento della famiglia: I coniugi devono contribuire al sostentamento della famiglia, in base alle loro sostanze e alla loro capacità lavorativa. In questo ambito, "capacità lavorativa" è da intendersi in senso lato: contribuisce al sostentamento della famiglia anche il coniuge che non ha un impiego, ma si occupa lavori domestici presso la residenza familiare.

Il Regime Patrimoniale Coniugale

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Il Regime Patrimoniale Coniugale è l'insieme delle norme del codice civile italiano che disciplinano i criteri di distribuzione tra i coniugi della ricchezza acquisita durante il matrimonio.

Questi criteri sono fondamentalmente due:

  • Comunione Legale dei Beni.
  • Separazione dei Beni.

Il regime patrimoniale coniugale di comunione dei beni è il regime che opera nel caso in cui non sia diversamente stabilito dagli sposi (tramite Convenzione Matrimoniale). Le norme del regime patrimoniale coniugale sono quindi norme dispositive (derogabili).

La Convenzione Matrimoniale

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La Convenzione Matrimoniale (o c.d. Contratto di Matrimonio o Tavole Nuziali) è il contratto con il quale i coniugi stabiliscono un regime patrimoniale coniugale diverso dalla comunione legale, e cioè il regime di separazione dei beni o di comunione convenzionale.

È disciplinata negli articoli 162-166 del Codice civile. Deve essere stipulata in forma di atto pubblico e per essere opponibile ai terzi va annotato a margine dell'Atto Matrimoniale. È indipendente il momento della stipulazione della stessa che può essere sia prima, sia durante, sia dopo il Matrimonio.

Le Convenzioni possono essere in qualsiasi momento modificate dagli sposi ma al momento della modificazione, per essere opponibili ai terzi, vanno sempre annotati a margine dell'Atto Matrimoniale. Per la modificazione c'è bisogno del consenso anche di tutti coloro che li hanno formati oltre che dei loro eredi mentre dopo la modifica dell'art. 162 c.c. ad opera della legge n. 142/1981 non è più necessaria l'autorizzazione del giudice.

La Comunione Legale dei Beni

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La Comunione Legale dei Beni è il risultato di un accordo tra due o più individui che mettono a disposizione i propri beni costituendo un patrimonio comune, godendone equamente dei frutti e partecipando solidarmente alle spese.

È il regime patrimoniale legale della famiglia, vale a dire il regime patrimoniale che si applica automaticamente in mancanza di diverse pattuizioni da parte dei coniugi.

La scelta per la comunione dei beni è stata operata dal legislatore con la riforma del diritto di famiglia del 1975, che ha mantenuto, per tutti i matrimoni contratti dopo il 20 settembre 1975 l'applicabilità, in mancanza di contraria pattuizione, del regime della comunione dei beni. Precedentemente al 1975 ai matrimoni si applicava esclusivamente la separazione dei beni. Per tali matrimoni la legge di riforma del diritto di famiglia ha disposto un periodo di tempo transitorio (fino al 15 gennaio 1978) entro il quale ciascuno dei coniugi, anche con atto reso unilateralmente dinanzi al notaio del luogo del contratto matrimonio, avrebbe potuto dichiarare di non voler aderire al nuovo regime, rimanendo pertanto in regime di separazione dei beni.Entro lo stesso termine (15 gennaio 1978) i coniugi possono convenire che i beni acquistati anteriormente alla data del 20 settembre 1975 siano assoggettati al regime della comunione, salvi i diritti dei terzi.

La comunione dei beni non è, a dispetto del nome, una comunione di tutti i beni. Occorre quindi distinguere ciò che rientra nella comunione (beni della comunione) e ciò che invece non vi rientra e appartiene dunque esclusivamente a un coniuge o all'altro (beni personali dei coniugi).

Sono beni della comunione:

  • gli acquisti compiuti dai coniugi insieme o separatamente in costanza di matrimonio, eccezione fatta per i beni personali.
  • le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio, gli utili e gli incrementi di quelle appartenenti a uno dei coniugi prima del matrimonio ma gestite da entrambi.
  • i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati al momento dello scioglimento della comunione.
  • i proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi se non siano stati consumati al momento dello scioglimento della comunione.
  • i beni destinati dall'esercizio dell'impresa di uno dei coniugi dopo il matrimonio se sussistono al momento dello scioglimento della comunione.

Sono invece beni personali e non rientrano in comunione:

  • i beni di cui ciascuno dei coniugi era titolare (proprietà o altro diritto reale parziario) prima del matrimonio
  • i beni acquisiti durante il matrimonio per donazione o successione, a meno che nella donazione o successione non sia specificato che essi sono attribuiti alla comunione.
  • i beni di uso strettamente personale di ciascuno dei coniugi e i loro accessori.
  • i beni strumentali all'esercizio della professione.
  • i beni ottenuti a titolo di risarcimento per danni.
  • i beni acquistati con il prezzo di alienazione dei beni personali, purché ciò sia dichiarato espressamente nell'atto di disposizione.

Occorre precisare che in materia di assegni di mantenimento e diritti economici del coniuge separato o divorziato, qualsiasi proprietà rileva ai fini del reddito, compresi i beni personali che non rientrano in comunione dei beni, e può essere oggetto di azione giudiziale volta al recupero del credito: se il coniuge non paga l'assegno alimentare all'altro coniuge per sé e per i figli di cui è affidatario, il credito alimentare che viene così a crearsi può essere soddisfatto con il pignoramento di qualsiasi proprietà del coniuge debitore, quale è la casa parentale ereditata dai genitori anche dopo vari anni di matrimonio (e sicuramente fuori dal regime di comunione), e a tal fine non ha alcuna importanza se nell'immobile stesso sia avvenuta una qualche forma di convivenza o coabitazione fra i due coniugi. Stessa considerazione a favore del coniuge affidatario dei figli (anche in caso di affido condiviso): se i coniugi vivevano in una casa presa in affitto prima della separazione senza un immobile di proprietà, e il reddito dell'uno non è più sufficiente a pagare a quello affidatario alimenti e il canone di affitto, il giudice può disporre che il coniuge affidatario dei minori abbia l'usufrutto (non la nuda proprietà) dell'unico immobile disponibile, sebbene si tratti della casa parentale che l'altro ha ereditato dai propri genitori - e che è del tutto sua, fuori dalla comunione patrimoniale- perché questi possa andarvi a vivere coi figli, in base agli stessi criteri e poteri con cui decide che uno dei due genitori deve abbandonare la casa coniugale familiare per assegnarla all'altro affidatario, sia che questa era cointestata (in comunione dei beni) che di proprietà esclusiva di uno dei due, e con un eventuale nuovo convivenza more-uxorio di cui l'altro coniuge ha l'onere della prova per chiedere la revoca dell'assegnazione art. 155-quater c.c. e riottenere il diritto al pieno godimento dell'immobile, revoca che non è automatica e invece dipende da uno specifico giudizio di conformità rispetto all'interesse del minore (Corte Costituzionale 30 luglio 2008 n.308).

Per quanto riguarda l'amministrazione dei beni il codice civile italiano distingue gli atti di ordinaria amministrazione dagli atti di straordinaria amministrazione. I primi possono essere compiuti disgiuntamente da ciascuno dei coniugi. I secondi devono essere compiuti congiuntamente dai due coniugi.

L'art. 191 del codice civile stabilisce, infine, lo scioglimento della comunione dei beni nei casi in cui:

  • sia stata dichiarata l'assenza o la morte presunta di uno dei coniugi.
  • sia stato annullato il matrimonio o eccepita la sua nullità
  • vi sia stato lo scioglimento del matrimonio per morte di uno dei coniugi o per divorzio, ovvero in caso di separazione personale, giudiziale o consensuale. Nel caso di separazione personale, una eventuale successiva riconciliazione dei coniugi non ripristina la comunione dei beni.
  • in caso di separazione giudiziale dei beni pronunciata in caso di interdizione o inabilitazione o di cattiva amministrazione della comunione.
  • nel caso in cui i coniugi abbiano scelto un regime diverso.
  • nel caso di fallimento di uno dei coniugi.

La Separazione dei Beni

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La Separazione dei Beni è un regime patrimoniale familiare che va scelto dai coniugi. Nel regime di separazione dei beni ogni coniuge è titolare esclusivo dei beni acquisiti durante il matrimonio. Tale convenzione deve essere stipulata per atto pubblico sotto pena di nullità (art.162 c.c.).

La scelta del regime di separazione dei beni può essere fatta dai coniugi:

  • al momento della celebrazione del matrimonio. Rendendo apposita dichiarazione al celebrante (Ufficiale di stato civile, Parroco o altro ministro del culto);
  • prima del matrimonio, con appropriata convenzione stipulata davanti a un notaio;
  • dopo il matrimonio, con convenzione stipulata davanti a un notaio.

Il Fondo Patrimoniale

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I coniugi possono anche costituire un Fondo Patrimoniale cioè un complesso di beni, siano essi immobili, mobili registrati o titoli di credito, costituito ai fini di soddisfare i bisogni della famiglia.

Storicamente, l'istituto del fondo patrimoniale ha sostituito il patrimonio familiare e la dote. Attualmente è regolato dagli art. 167 e ss. del codice civile. La dottrina lo fa rientrare nella categoria del patrimonio separato.

Il fondo può essere costituito dai coniugi, anche durante il matrimonio, tramite atto di costituzione; oppure può essere costituito da un terzo. La proprietà dei beni conferiti spetta ad entrambi i coniugi. Non possono beneficiarne le coppie di fatto, e cessa i suoi effetti in caso di morte del coniuge, separazione, divorzio, annullamento del matrimonio. La sua funzione principale è quella di soddisfare i bisogni della famiglia (e cioè i bisogni relativi ai diritti di mantenimento, assistenza e contribuzione).

Importante è sottolineare che sui beni oggetto del fondo patrimoniale non è possibile agire forzosamente; i beni ed i frutti rispondono solo per obbligazioni contratte nell'interesse della famiglia. È fatta però salva la buona fede del creditore che ignorava che il debito era stato contratto per soddisfare i bisogni della famiglia (art. 170, codice civile). Infine, laddove il fondo fosse stato costituito fraudolentemente allo scopo di sottrarre beni alla garanzia dei creditori, sarà possibile esperire l'azione revocatoria.

Si presumono relativi al soddisfacimento di esigenze famigliari anche i debiti contratti per la propria attività lavorativa o imprenditoriale. Anche per questo tipo di debiti è ammessa l'azione sui beni conferiti al fondo patrimoniale, lasciando l'onere della prova contraria al titolare.

Con d.l. n. 83 del 27.06.2015 (art. 12) viene drasticamente riformato l'art. 2929 del codice civile. In precedenza, il creditore doveva dare luogo a una causa ordinaria, con tutte le garanzie del caso, prima di poter soddisfare il proprio credito nei confronti del patrimonio protetto del debitore. Il procedimento doveva concludersi con una sentenza del Giudice che dichiarava la inefficacia del trasferimento nei confronti del creditore procedente, e solo a conclusione del processo il creditore poteva soddisfarsi sul bene del debitore

Con questa nuova legge, si introduce una sorta di "presunzione di frode" per cui il creditore procede all'esecuzione forzata anche in pendenza di giudizio: il debitore può opporsi all'esecuzione con inversione (di dubbia costituzionalità) dell'onere della prova e forte limitazione del diritto di difesa, perché la possibilità di opposizione è riservata al solo caso di contestazione del pregiudizio, che deve essere nota al debitore, motivi labili e molto difficili da provare.

Nota: Il creditore potrà far valere il pignoramento del bene, senza azione revocatoria, solo se ha trascritto il pignoramento entro un anno dalla trascrizione dell'atto del debitore (fondo).

L'Impresa Familiare

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L' Impresa Familiare è un istituto giuridico disciplinato dall'art. 230 bis c.c.. Esso regola i rapporti che nascono in seno ad una impresa ogni qualvolta un familiare dell'imprenditore presti la sua opera in maniera continuativa nella famiglia o nella stessa impresa.

L'impresa familiare riceve per la prima volta tutela nel 1975 con la riforma del diritto di famiglia. L'esigenza sottesa alla creazione di tale istituto era di tutela nei confronti di quei familiari che pur lavorando all'interno di una impresa familiare non erano protetti nei confronti dell'imprenditore. Situazione iniqua che trovava larga applicazione nel mondo della piccola impresa italiana, in cui spesso il padre assumeva la qualifica di imprenditore, e la moglie ed i figli non ricevevano nulla in cambio del proprio lavoro.

È vivacemente discusso in seno alla dottrina italiana il problema della natura giuridica dell'impresa familiare. Le tesi maggiormente sostenute sono quelle che, rispettivamente, vedono nell'impresa familiare una ipotesi di impresa collettiva o di un'impresa individuale.

I sostenitori della prima teoria ritengono che tutti i componenti familiari che prestano la loro opera all'interno dell'impresa assumano la responsabilità collettiva nei confronti dei terzi, e acquistano la qualità di co-imprenditori.

All'opposto, i sostenitori della teoria dell'impresa individuale ritengono che nell'impresa familiare sia imprenditore solo colui al quale spetta per legge tale qualifica. Solo quest'ultimo sarà responsabile con il proprio patrimonio dell'adempimento delle obbligazioni assunte dall'impresa, e solo questi sarà soggetto a fallimento in caso di insolvenza.

L'impresa familiare è costituita dall'imprenditore che di regola è il fondatore e al quale spettano tutti gli atti di ordinaria gestione, dal coniuge (per il quale si tratterà di una prestazione e non di una cogestione unitamente all'altro coniuge imprenditore), dai parenti entro il terzo grado e dagli affini entro il secondo grado. Dell'impresa inoltre possono far parte i figli adottivi e naturali.

Il rapporto familiare deve persistere durante tutto l'arco della vicenda cosicché il divorzio e le invalidità matrimoniali sono motivo di scioglimento ma non la separazione legale che in quanto tale non fa venir meno il vincolo familiare.

Dal punto di vista del lavoro la prestazione deve essere non saltuaria ma non necessariamente a tempo pieno, salvo diverso accordo (es. subordinato ex art 2094 cc o societario). Le mansioni possono essere le più varie.

I familiari hanno diritto al mantenimento in rapporto alle condizioni economiche della famiglia, alla partecipazione agli utili (non alle perdite in quanto non c'è l'alea), ai beni acquistati con gli utili, e agli incrementi dell'azienda.

I creditori personali dei familiari non possono pignorare i beni dell'impresa né espropriare la loro quota. Il pignoramento potrà avvenire esclusivamente sugli utili corrisposti.

I familiari deliberando a maggioranza (con voto per teste e non per quote) decidono sull'impiego degli utili e degli incrementi nonché degli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, gli indirizzi produttivi e la cessazione dell'impresa.

Sono cause di perdita della quota di partecipazione la morte, il recesso (se manca la giusta causa obbliga la parte a risarcire il danno), la cessazione del rapporto familiare, impossibilità sopravvenuta a prestare il proprio lavoro, l'esclusione deliberata dalla maggioranza dei membri.

Il familiare non può cedere la sua partecipazione ad estranei, essa è trasferibile solo a favore degli altri membri della famiglia nucleare e con il consenso unanime dei familiari già partecipanti (fonte: art. 230 bis codice civile).

Alla cessazione dell'attività lavorativa per qualsiasi motivo (tranne la cessione a un familiare), e in caso di alienazione dell'azienda senza che il familiare eserciti la prelazione, ha diritto ad esser liquidato in denaro e il pagamento può avvenire in più annualità.

In caso di divisione ereditaria o di trasferimento d'azienda i partecipi hanno diritto di prelazione sull'azienda.