Il Lavoratore
Un lavoratore quando lavora presso un datore di lavoro non è un semplice esecutore materiale ma è un collaboratore dell'azienda e quindi deve tenere conto anche delle esigenze dell'azienda stessa.
Il legislatore, per questo motivo, pone sul lavoratore tre obblighi disciplinati dall'articolo 2104 c.c. e dall'articolo 2105 c.c.: Obbligo di Diligenza, Obbligo di Obbedienza e Obbligo di Fedeltà.
Articolo 2104 c.c. (Diligenza del prestatore di lavoro): Il lavoratore è sotto gli ordini del datore di lavoro (a cui quindi deve obbedienza). Tali ordini devono essere però funzionali all'attività di lavoro per cui si è stati assunti (un cuoco, chiaramente, non dovrà sottostare all'ordine del datore che vuole, ad esempio, che tagli l'erba del giardino del ristorante). L'obbedire agli ordini rientra nel generare obbligo di diligenza la quale va ponderata in base a tre indici:
- Natura della prestazione dovuta: Maggiore è la delicatezza della natura della prestazione maggiore è chiaramente la diligenza richiesta.
- Interesse dell'impresa: Si allude all'interesse dell'imprenditore.
- Interesse superiore della produzione nazionale: Oggi non più guardato dato che era attinente al regime corporativistico.
Articolo 2105 (Obbligo di fedeltà): L'obbligo di fedeltà si compone di tre divieti:
- Divieto di Concorrenza: Non trattare affari in concorrenza.
- Divieto di Divulgazione: Non divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione.
- Divieto di Far Uso: Divieto di usare le notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione conosciute nell'azienda.
Il Divieto di Divulgazione e di Far Uso rientra nella più generica protezione della riservatezza dell'attività dell'imprenditore.
A fianco a questa norma civile vi sono anche norme penali (si pensi a quelle sul segreto industriale).
Queste norme poi possono entrare in conflitto anche con gli interessi del lavoratore e della comunità. Il lavoratore vedere per forza tacere alle direttive del datore oppure ha qualche potere di critica? Problema che rientra ad esempio nel caso di sicurezza o sulla stessa organizzazione dell'azienda dove anche il lavoratore è direttamente colpito (si pensi per la sicurezza un eventuale violazione delle norme di sicurezza poste in essere da datore oppure in caso di organizzazione all'organizzazione degli orari di lavoro). La legge e la giurisprudenza non hanno previsto decisioni univoche lasciando il diverso modo di agire a seconda del caso concreto.
Il Divieto di Concorrenza ha bisogno di un maggior approfondimento. Il Divieto vale sia personalmente che nel tramite di terzi cioè non si può ne intraprendere personalmente una attività concorrente né farlo alle dipendenze di un terzo. È bene specificare però che tale divieto vale esclusivamente fino a quando si è alle dipendenze del datore e inoltre il divieto è vincolato alle sole attività in concorrenza potendosi fare altre attività (ad esempio un operaio edile sarà vincolato dal divieto di porre in essere una attività edile a nome proprio o di un terzo ma non ad esempio fare il cassiere la sera presso un negozio). Tale ulteriore divieto, cioè della possibilità di fare altre attività, è in capo invece ai pubblici dipendenti. Il Divieto di Concorrenza, a differenza degli altri due Divieti che permangono anche dopo la fine del rapporto di lavoro, come detto, termina al cessare del rapporto di lavoro. Ci può però essere interesse, da parte del datore di lavoro, affinché tale obbligo resti in vigore anche dopo la fine del rapporto di lavoro. Per questo motivo il legislatore ha previsto una sorta di prolungamento all'articolo 2125 c.c. che è il Patto di Non Concorrenza. Questo patto o accordo può sia avere una sua autonomia (cioè stipulato tra le parti al momento della cessazione del rapporto di lavoro) oppure essere già parte del contratto (ipotesi più seguita essendo più facile, al momento della stipula del contratto, trovare un simile accordo). Il fine di questo accordo è quello di allungare la durata dell'obbligo di non concorrenza in cambio per il lavoratore di un corrispettivo. È un patto chiaramente pericoloso perché limita la libertà del lavoratore, ecco perché è nullo se non è in forma scritta, se non c'è un corrispettivo e se non è indicato l'oggetto (cioè l'attività in concorrenza), tempo (cioè quanto dura il patto) e il luogo (cioè il raggio geografico dove il patto vale). La durata del vincolo non può essere superiore ai cinque anni per i dirigenti e tre anni per operai, quadri e impiegati. Se stipulato per durata maggiore si applicano i limiti massimi di legge. È chiaro che tale patto sarà stipulato quando il datore ravvisa un interesse, vuoi l'alta professionalità del lavoratore, c'è un interesse affinché non intraprenda subito una attività in concorrenza. Quando si può stipulare tale patto? Come dicevamo il patto può essere stipulato solo o quando nasce o durante il rapporto di lavoro quindi anche nei pressi della fine ma non dopo perché in quel caso la parte contraente non sarebbe più prestatore di lavoro. Come ancora prima dicevamo il patto solitamente è sottoscritto al momento della stipula del contratto proprio perché è più facile sottoscriverlo. Per quanto riguarda i limiti spaziali è bene segnalare che lo spazio vincolato non può andare oltre all'area di interesse del datore di lavoro.
Quanto il lavoratore deve lavorare? (Orario di Lavoro)
modificaLa disciplina dell'Orario di Lavoro è forse una delle più antiche. Fino al 2003, infatti, si faceva addirittura riferimento a una legge del 1923. L'obbiettivo di questa tipologia di legislazione è sicuramente, in primo luogo, quello di fissare una durata dell'attività lavorativa che tuteli il lavoratore. Porre un argine a che il datore non sprema tutte le forze del lavoratore. Per un altro verso ha però anche la finalità di quantificare l'attività lavorativa e il rapportare a essa la retribuzione (in base all'articolo 36 Costituzione che impone che la retribuzione sia rapportata alla quantità e qualità dell'attività lavorativa oltre che sufficiente a una vita dignitosa del lavoratore e della sua famiglia). La legge del '23 o meglio il Regio decreto legge 15 marzo 1923, n. 692, prevedeva che il lavoratore non potesse lavorare oltre le 8 ore giornaliere e per un massimo di 48 ore settimanali. Si potevano superare tali limiti, attraverso lo straordinario, solo se vi era una maggiorazione della retribuzione. Questo era il limite legale ma i contratti collettivi, prima ancora che la legge, avevano abbassato l'orario massimo settimanale (cosa possibile dato che la legge è derogabile in meius) a 40 ore settimanale. Il legislatore, così, con legge 196/97 si limita a recepire questo orientamento ponendo come limite legale le 40 ore settimanale (confermando le 8 ore per il giornaliero). Tutto questo fino al Decreto Legislativo 8 aprile 2003, n. 66. In questo decreto, che recepisce le direttive comunitarie, si dà il via a un sistema di orario in cui sono possibili molte deroghe da parte non solo dei contratti collettivi "stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative (le più affidabili)" ma anche in base ai lavori stessi. La prima novità è la previsione di due tipologie di orario:
- Orario Normale Settimanale: Cioè quel orario che non comprende lo straordinario ed è per un massimo di 40 ore.
- Orario Massimo Settimanale: Cioè l'orario comprensivo dello straordinario e che non può superare le 48 ore.
Un'altra novità è quella della multiperiodalità. L'articolo 3 nel disciplinare l'orario di lavoro normale, ponendo come limite le 40 ore, dispone anche che i contratti collettivi possono stabilire una durata minore a essa oppure imporre le 40 ore come una media in un periodo di riferimento che non può superare l'anno.
Esempio: Esempio un Contratto di Lavoro che prevede che nell'arco di due mesi devo lavorare per un mese a 50 ore settimanali per l'altro invece a 30 esso sarà legittimo perché facendo una media tra le due durate si ottiene 40. (50 + 30 / 2 = 40).
Ci si è chiesto se questa modalità di distribuzione nel periodo del limite orario era possibile prima della previsione di legge. Evidentemente l'assenza di essa non permetteva alla contrattazione collettiva di poterla attuare pertanto è da escludere un simile possibilità prima della legge. Chiaramente i contratti collettivi, nel caso di un azienda che necessita di un regime del genere, avevano comunque la facoltà della previsione dell'orario straordinario che era chiaramente più oneroso.
L'articolo 4 nel disciplinare l'orario massimo settimanale dispone che anche le 48 ore previste in questo caso possono essere usate come media per l'attuazione dell'orario multiperiodale.
È da segnalare che la nuova legge non fa più riferimento al limite orario giornaliero massimo pur prevedendo l'articolo 36 della Costituzione che la legge preveda tale limite giornaliero. Alcuni per questo motivo hanno voluto invalidare la costituzionalità di questa legge ma al momento la Corte Costituzionale non ha operato in tal senso forse anche perché il limite giornaliero è ricavabile in negativo esso invece previsto un limite orario minimo di riposo in 11 ore (per sottrazione il limite di lavoro giornaliero è di circa 13 ore).
Brevemente facciamo cenno ad altre nozioni che riguardano sempre l'Orario di Lavoro o il "Quanto deve lavorare il lavoratore".
Attinente all'Orario di Lavoro è sicuramente la questione del Lavoro a Turno, Notturno e Straordinario. Il Lavoro a Turno non è altro che un lavoro in cui il dipendente è inserito in un ciclo continuato di lavoro dell'azienda che prende il nome di turno. Il Lavoro Notturno non è altro che il lavorare in una fascia oraria notturna e quindi maggiormente gravoso ecco perché non è possibile il lavoro notturno alle donne in stato di gravidanza e ai minori. Il Lavoro Straordinario è un lavoro che sfora le 40 ore settimanali previste dall'orario normale settimanale e che rientra nelle 48 ore dell'orario massimo settimanale (è bene tener presente questa precisazione temporale perché nel caso in cui si è nelle 40 ore settimanali dell'orario normale settimanale si parla di Lavoro Supplementari. Un contratto collettivi, infatti, può prevedere che la durata del lavoro sia ad esempio di 38 ore. Nel caso in cui si sforino le 38 ore ma non si superano le 40 ore settimanali si parlerà ai Lavoro Supplementare, oltre tale limite di Lavoro Straordinario).
Un aspetto rilevante, in conformità con il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80, che attua lo Jobs Act, riguarda le modifiche in materia di lavoro notturno a favore dei genitori adottivi e affidatari. Queste modifiche, introdotte dall'articolo 11 che ha emendato l'articolo 53 del decreto legislativo 151/2001, conferiscono ai genitori adottivi o affidatari di un minore il diritto di non essere obbligati a svolgere il lavoro notturno (tra le 24:00 e le 06:00) nei primi tre anni dall'arrivo del minore in famiglia e, in ogni caso, non oltre il dodicesimo anno di età del minore. Questa equiparazione è sancita anche sul piano sanzionatorio, con disposizioni analoghe a quelle valide per i genitori biologici. In altre parole, i datori di lavoro che costringono i genitori adottivi o affidatari a svolgere lavoro notturno sono passibili di sanzioni, che comprendono un arresto da due a quattro mesi o un'ammenda da 516 euro a 2.582 euro, conformemente alle modifiche apportate dall'articolo 22 agli articoli 11 (comma 2) e 18-bis (comma 1) del decreto legislativo n. 66/2003.
Passando alla questione "Quanto deve lavorare il lavoratore," dobbiamo esaminare ulteriori concetti, come il riposo e le ferie. Il riposo rappresenta una pausa dal lavoro. Esiste un riposo giornaliero di almeno 11 ore e un riposo settimanale di almeno un giorno, che non necessariamente coincide con la domenica e può essere accumulato in due settimane consecutive (ad esempio, lavorare un giorno e poi godere di due giorni di riposo consecutivi nella settimana successiva).
Per quanto riguarda le ferie, queste sono un periodo di "vacanza" annuale dal lavoro. Ogni lavoratore ha diritto a un minimo di quattro settimane di ferie all'anno, distribuite secondo la decisione del datore di lavoro e dei contratti collettivi (che possono anche prevedere un periodo superiore, ma non inferiore). Un aspetto importante è che durante le ferie il lavoratore continua a ricevere una retribuzione. Inoltre, esistono alcune festività nazionali previste dalla legge (come il 1° maggio, "Festa dei Lavoratori," e il 2 giugno, "Festa della Repubblica") in cui i lavoratori hanno diritto a un giorno di riposo retribuito. I lavoratori possono inoltre richiedere permessi al datore di lavoro per godere di giorni di riposo o effettuare variazioni nell'orario di lavoro.
Infine, per quanto riguarda il lavoro a tempo parziale (part-time), questa è una forma di impiego in cui il lavoratore è impegnato in un'attività lavorativa ridotta rispetto a un impiego a tempo pieno. Il part-time può essere orizzontale (riduzione in tutti i giorni della settimana), verticale (riduzione solo in determinati giorni della settimana) o misto (combinazione di riduzione orizzontale e verticale).
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