Il Dolce Stil Novo

{{Quote|Il dolce stil novo va riportato, nella cultura, al sentimento che i poeti ebbero di una nuova poesia: sentimento vago, non ragionato pensiero. Va considerato come un'aura letteraria alimentata da una cultura sensibilissima ed eletta a forme elaborate ed eleganti, in una ispirazione meditata che ricerca la più intima voce dell'Amore, e cioè il senso riposto che sotto le parole è celato".[1]

lezione
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Il Dolce Stil Novo
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Italiano nelle scuole superiori 1
Dante Alighieri (Andrea del Castagno, Ciclo degli uomini e donne illustri)

Tra la fine del XIII secolo e i primi anni del successivo nasce il Dolce Stil Novo, un movimento poetico che, accentuando la tematica amorosa della lirica cortese, la conduce ad una maturazione molto raffinata.

Nato a Bologna e in seguito fiorito a Firenze, esso diventa presto sinonimo di alta cultura filosofica e questo, come giustifica Sansoni[2], "... spiega perciò come i giovani poeti della nuova scuola guardassero con disprezzo, più che ai siciliani, ai rimatori del gruppo toscano, che accusavano di avere in qualche modo imborghesita la poesia e di mancare di schiettezza e raffinatezza stilistica".

Il nome della nuova "scuola" si trae da Dante. Così afferma Natalino Sapegno[3] "È noto che Dante, incontrando, in un balzo del suo Purgatorio, il rimatore Bonagiunta Orbicciani, mentre ci offre il nome (da noi per convenzione ormai antica adottato) della scuola o gruppo letterario cui egli appartiene, definisce poi questo "dolce stil novo" uno scrivere quando Amore spira".

Infatti nel XXIV canto del Purgatorio Bonagiunta Orbicciani di Lucca si rivolge a Dante chiedendogli se si trattasse proprio di

colui che fuore

Trasse le nuove rime, cominciando

"Donne ch'avete intelletto d'amore"

e Dante gli risponde senza dire il suo nome ma così definendosi:

Io mi son un che, quando

Amor mi ispira, noto; e a quel modo

Ch'è ditta dentro, vo significando

ed è a questo punto che Bonagiunta risponde:

O frate, issa vegg'io... il nodo

Che il Notaro e Guittone e me ritenne

Di qua dal dolce stil novo ch'ì odo[4].

I poeti del "Dolce Stil Novo" fanno dell'amore il momento centrale della vita dello spirito e possiedono un linguaggio più ricco e articolato di quello dei poeti delle scuole precedenti.

La loro dottrina "toglieva all'amore ogni residuo terreno e riusciva a farne non un mezzo, ma il mezzo per ascendere alla più alta comprensione di Dio"[5].

L'iniziatore di questa scuola fu il bolognese Guido Guinizelli e tra gli altri poeti, soprattutto toscani, si ricordano i grandi come Guido Cavalcanti, Dante stesso, Cino da Pistoia e i minori come Lapo Gianni, Gianni Alfani, Dino Frescobaldi.

Guido Guinizzelli

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Per approfondire questo argomento, consulta la pagina w:Guido Guinizzelli.

Considerato il fondatore del "dolce stil novo", di Guido Guinizzelli non si hanno dati anagrafici certi. Egli viene riconosciuto da alcuni nel ghibellino Guido di Guinizzello nato a Bologna tra il 1230 e il 1240, da altri con un certo Guido Guinizello, un podestà di Castelfranco Emilia.

Egli ci ha lasciato, con la canzone Al cor gentil rempaira sempre amore, quello che deve considerarsi il manifesto del "dolce stil novo" dove viene messa in evidenza l'identità tra il cuore nobile e l'amore e come la gentilezza stia nelle qualità dell'animo e non nel sangue. Egli riprende poi con accenti sublimi il concetto del paragone tra la donna e l'angelo, già valorizzato da Guittone d'Arezzo e da altri poeti precedenti.

Guido Cavalcanti

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Nato a Firenze da una delle famiglie guelfe di parte bianca tra le più potenti della città, Guido Cavalcanti venne descritto dai suoi contemporanei "come cavaliere disdegnoso e solitario, tutto volto alla meditazione filosofica e quasi certamente seguace dell'averroismo"[6].
Fu amico di Dante Alighieri, che a lui dedicò la Vita Nova, e partecipò attivamente alla vita politica fiorentina sostenendo i Cerchi contro i Donati. Mandato in esilio a Sarzana il 24 giugno 1300 ritornò l'anno stesso in patria dove la morte lo colse alla fine di agosto del medesimo anno.

La canzone più famosa di Cavalcanti fu la teorica "Donna mi prega perch'io voglio dire", nella quale il poeta tratta dell'amore dandone una interpretazione di carattere averroista, come sostiene Mario Sansone[7], l'amore è per il Cavalcanti un "processo dell'intelligenza che dalla "veduta forma" della donna estrae l'idea della bellezza, già posseduta in potenza, e se ne compenetra"[8] e non è, come per il Guinizelli, beatificante ma estremamente terreno e dà più dolori che gioie.

Dino Frescobaldi

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Rime

Gianni Alfani

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Lapo Gianni

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Cino da Pistoia

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  1. Francesco Flora, Storia della letteratura italiana, vol. 1, Milano, Mondadori, 1958, pp. 62-63.
  2. Mario Sansone, Storia della letteratura italiana, Principato, Milano, 1960, pag. 38
  3. Natalino Sapegno, Compendio di Storia della letteratura italiana, vol. I, Dalle origini alla fine del quattrocento, La Nuova Italia, Firenze, 1956, pag. 79
  4. da il Purgatorio, in Dante Alighieri, La Divina Commedia, Sansoni, Firenze, 1905, pag. 466
  5. Mario Sansone, Storia della letteratura italiana, Principato, Milano, 1960, pag. 39
  6. Mario Sansone, op. cit. pag. 40
  7. Mario Sansone, op. cit., pag. 40
  8. Natalino Sapegno, Compendio di Storia della letteratura italiana. Dalle origini alla fine del Quattrocento, La Nuova Italia, Firenze, 1956, pag. 85

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