I centri di produzione italiani
Negli anni storici e cruciali per la sperimentazione della videoarte, se escludiamo la RAI, diventato un grande centro di produzione purtroppo dedicato solo ai format di intrattenimento,
i centri di produzione italiani della videoarte furono solo quattro:
- - A Varese, dal 1971 Luciano Giaccari si procurò le apparecchiature necessarie e cominciò a produrre in modo sistematico nel suo studio che allora si chiamava Studio 970-02, per la sua serie TV-Out, numerosi lavori con gli artisti più importanti del momento, anche in collaborazione con la galleria l'Attico di Fabio Sargentini: Francesco Clemente, Luciano Fabro, Mimmo Germanà, Urs Luthi, Mario Merz, Hidetoshi Nagasawa, Dennis Oppenheim, Gina Pane, Vettor Pisani, Richard Serra, Antonio Trotta, Franco Vaccari, Germano Olivotto e numerosi altri. Per il rapporto diretto con gli artisti, la sua capacità professionale, la tempestività e la perspicacia, la passione, per la documentazione dei fatti dell'arte, Giaccari si pone immediatamente al centro della scena produttiva, sviluppando apporti critici importanti, anche a livello internazionale. Costituendo l'archivio di videoarte, e catalogando i lavori prodotti, giunge a definire alcuni criteri di classificazione delle opere che ancora oggi vengono tenuti in considerazione.
- - A Firenze nel 1973 Maria Gloria e Giancarlo Bicocchi fondano lo studio di Art/Tapes/22 producendo per quasi quattro anni opere video straordinarie con Marina Abramovic, Vito Acconci, Vincenzo Agnetti, Joseph Beuys, Gino De Dominicis, Jannis Kounellis, Urs Luthi, Antoni Muntadas, Giulio Paolini, Emilio Prini, e molti altri, in collaborazione con Bill Viola, che a quel tempo faceva il tecnico di ripresa per lo studio e cominciava a produrre anche i suoi primi lavori. L'impresa attivò contatti con New York, con le gallerie di Leo Castelli e di Ileana Sonnabend per cercare proficui scambi di produzioni e di artisti, importando in Italia artisti americani e cercando di promuovere negli States le ricerche italiane.
- - A Ferrara, nel 1972 un assessore illuminato, politicamente orientato verso il movimento e la comunicazione democratica, finanziò l'impianto del Centro videoarte di Palazzo Diamanti, ideato e diretto da Lola Bonora, che cominciò a produrre videoarte invitando artisti come Marina Abramovic con Ulay, Maurizio Camerani, Giorgio Cattani, Piero Gilardi, Marie-Jo Lafontaine, Nam June Paik, Fabrizio Plessi, Pipilotti Rist, e Gianni Toti. Fu il primo, e forse l'unico, fulgido esempio di impegno pubblico nella produzione dell'Arte Contemporanea che attivò immediatamente contatti con centri pubblici simili, in Argentina, in Francia, in Spagna e a New York con la NY University e che si mise subito in luce per la quantità e la qualità delle opere prodotte, e per il dibattito teorico suscitato dai numerosi confronti pubblici organizzati.[1]
- - A Venezia, nel 1973, la Galleria del Cavallino si trova sulle linee di confine con l'Austria e la Jugoslavia particolarmente effervescenti in quegli anni. Paolo Cardazzo compra una Portapak della Sony e inizia la sua attività editoriale e di produzione di opere video con artisti italiani slavi e austriaci. Con Paolo Cardazzo e la sorella Gabriella vengono prodotte opere di videoarte vendute ancora oggi.[2] Produce quasi 150 opere, con Marina Abramovic & Ulay, Piccolo Sillani, Michele Sambin, Guido Sartorelli, Sanja Ivekovic, Claudio Ambrosini, Dalibor Martinis, Goran Trbuljak, Pierpaolo Fassetta, Anna Valeria Borsari.
Note
modificaCollegamenti esterni
modificaBibliografia
modificaAngela Madesani, Le icone fluttuanti, Bruno Mondadori, Milano 2002
Simonetta Fadda, Definizione Zero, Costa & Nolan, Milano 2005
Maria Gloria Bicocchi, Art/Tapes/22 Edizioni del Cavallino, Venezia 2003
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