Giambattista Vico (superiori)
Giambattista Vico è stato tra i più importanti filosofi italiani.
La vita
modificaNato il 23 gennaio 1668 in una famiglia di modeste condizioni – il padre Antonio era un povero libraio[1], la madre, Candida Masulla, era figlia di un lavorante di carrozze[2] – Vico fu un bambino molto vivace, ma, a causa di una caduta verificatasi forse nel 1675, si procurò una frattura al cranio che gli impedì di frequentare la scuola per tre anni e che, pur non alterando le sue capacità mentali, quantunque «il cerusico ne fe' tal presagio: che egli o ne morrebbe o arebbe sopravvissuto stolido», contribuì a sviluppare «una natura malinconica ed acre».[3][4]
Seguì senza continuità le lezioni presso il Collegio dei Gesuiti di Napoli, abbandonandoli due volte per dedicarsi agli studi privati. Successivamente, per secondare il desiderio paterno, fu «applicato agli studi legali», frequentando per circa due mesi le lezioni private e, dal 1688 al 1691, iscrivendosi alla facoltà di giurisprudenza presso l'Università di Napoli, senza tuttavia seguirne i corsi, cimentandosi invece in privati studi di diritto civile e canonico.[2] Conseguita la laurea, forse a Salerno, fra il 1693 e 1694, si appassionò subito ai problemi filosofici che il diritto pone.[5][6]
Il periodo tra il 1689 e il 1695 fu denominato dell'«autoperfezionamento». Dal 1689-1690 svolse attività di precettore dei figli del marchese Domenico Rocca, e usufruendo della grande biblioteca padronale studiò Platone e il platonismo italiano (Ficino, Giovanni Pico, Patrizi), appassionandosi al problema della grazia in Agostino. Approfondì anche gli studi aristotelici e scotisti, e lesse le opere di Giovanni Botero e di Jean Bodin, scoprendo al contempo Tacito (che diverrà, insieme a Platone, Bacone e Grozio, uno dei quattro maestri cui s'ispirerà il suo pensiero maturo).[7]
Ritornato a Napoli nell'autunno del 1695, all'età di ventisette anni, affetto dalla tisi, rientra nella misera dimora paterna. A causa delle difficoltà economiche è costretto a tenere ripetizioni di retorica e grammatica. Nel gennaio 1699 vince, con striminzita maggioranza, il concorso per la cattedra di eloquenza e retorica presso l'Università di Napoli, da cui non riuscì, con suo grande rammarico, a passare a una di diritto.[6][8] Anche dopo la nomina accademica, per poter mantenere il padre e i fratelli, dovette aprire uno studio privato dove dà lezioni di retorica e di grammatica elementare, e impegnarsi a lavorare su commissione alla stesura di poesie, epigrafi, orazioni funebri, panegirici, ecc.
Nel 1699 può finalmente sposare la giovane Teresa Caterina Destito dalla quale ebbe otto figli.[9] Da quel momento non avrà più la tranquillità necessaria per condurre gli studi. A questo periodo risale, inoltre, la conoscenza col filosofo Paolo Mattia Doria e l'incontro con il pensiero del Bacone.[10]
Nel 1703 il governo partenopeo commissiona al Vico la scrittura del Principum neapolitanorum coniuratio e, nel 1709, in una cena a casa del Doria, espone le sue idee sulla filosofia della natura che lo condurranno, fra il novembre e il dicembre del medesimo anno, alla composizione del perduto Liber physicus.[10] Fra il 1699 e il 1706 pronunzia in latino le sei Orazioni inaugurali, ossia le prolusioni all'anno accademico e, durante il 1708, se ne aggiunge una settima, più ampia e importante, recante il titolo di De nostri temporis studiorum ratione, la quale si concentra molto sul metodo degli studi giuridici.[6][11]
Fra il 1708 e il 1709, l'insieme delle prolusioni universitarie sono rielaborate per essere raccolte in un unico volume mai pubblicato, dal titolo di De studiorum finibus naturae humanae convenientibus.[8] È aggregato, dal 1710, all'Accademia dell'Arcadia e, nel novembre, pubblica il primo libro dell'opera dedicata al Doria, De antiquissima italorum sapientia ex linguae latinae originibus eruenda, recante il sottotitolo Liber primus sive metaphysicus.[10] Accanto al Liber metaphysicus l'opera vichiana avrebbe dovuto comprendere anche il perduto Liber physicus e un mai composto Liber moralis.
Nel 1713 pubblica un trattatello perduto sulle febbri ispirato alle bozze del Liber physicus, recante il titolo di De aequilibrio corporis animantis, e, inoltre, si dedica alla stesura del De rebus gestis Antonii Caraphaei, una biografia del maresciallo Antonio Carafa, che vedrà la luce nel marzo 1716. Durante i lavori dell'opera biografica del maresciallo Carafa, Vico si dedica alla rilettura del suo quarto «auttore», l'olandese Ugo Grozio, cui dedicherà, nel 1716, un perduto commento al De iure belli ac pacis.[12] L'incontro di Vico con la filosofia di «Ugon capo»[13] ebbe un'importanza decisiva per il suo sviluppo intellettuale, poiché da quel momento il suo interesse sarà completamente assorbito dai problemi giuridici e storici.
L'idea dell'esistenza di un'umanità ferina e primitiva, dominata solamente dal senso e dalla fantasia, ed entro cui si producono gli «ordini civili» divenne centrale in tutto il pensiero vichiano.[12] Nel luglio 1720 vide la luce un'opera di filosofia del diritto, intitolata De uno universi iuris principio et fine uno, seguita, nel 1721, dallo scritto De constantia iurisprudentis, diviso in due parti (De constantia philosophiae e De constantia philologiae)[14], e che, nonostante il titolo si riferisca alla tematica giuridica, è meno incentrato sull'argomento rispetto al De uno.[6] Benché le due opere del 1720 e del 1721 si differenzino, segno di un rapido sviluppo del pensiero vichiano, è d'uso considerarli, come invero fece anche il Vico, insieme alle Notae aggiunte nel 1722 e le Sinopsi premesse al testo, sotto l'unico titolo di Diritto universale.[6]
Nel 1725 vengono pubblicati i Principj di una Scienza Nuova intorno alla natura delle nazioni, più conosciuta con il titolo abbreviato di Scienza Nuova. Alla Scienza Nuova Vico lavorò per tutto il corso della sua vita, con un'edizione integralmente riscritta nel 1730 anche a seguito delle critiche ricevute e, infine, rivista completamente, senza grandi modifiche, per la terza edizione del 1744, pubblicata pochi mesi dopo la sua morte da suo figlio Gennaro che lo aveva sostituito nell'insegnamento accademico.[15]
Dopo la fama ottenuta dalla pubblicazione della Scienza Nuova, nel 1732 ottenne dal re Carlo III di Borbone, la carica di storiografo regio.[16] Tanto nuova era la sua dottrina che la cultura del tempo non poté apprezzarla: così che Vico rimase appartato e quasi del tutto sconosciuto negli ambienti intellettuali, dovendosi accontentare di una cattedra di secondaria importanza all'Università napoletana che lo manteneva inoltre in tali ristrettezze economiche che per pubblicare il suo capolavoro la Scienza Nuova dovette toglierne alcune parti in modo che risultasse meno costoso per la stampa.[17] A queste difficoltà economiche per la pubblicazione delle sue opere, che influirono certo negativamente sulla sua notorietà nel mondo accademico, va aggiunto il suo stile di scrittura poco lineare che rendeva difficile la lettura del suo pensiero.[18]
Nello stesso anno della pubblicazione della Scienza Nuova Vico, afflitto da difficoltà e disgrazie familiari, incominciò a scrivere la sua Autobiografia pubblicata a Venezia tra il 1728 e il 1729.[19]
Giambattista Vico morì il 20 gennaio 1744 dopo aver appena superato i 76 anni d'età.[20][21]
La Scienza Nuova
modificaSe l'uomo non può considerarsi creatore della realtà naturale ma piuttosto di tutte quelle astrazioni che rimandano ad essa come la matematica, la stessa metafisica, vi è tuttavia un'attività creatrice che gli appartiene
«questo mondo civile egli certamente è stato fatto dagli uomini, onde se ne possono, perché se ne debbono, ritruovare i principi dentro le modificazioni della nostra medesima mente umana» |
(Giambattista Vico Scienza Nuova, 3a ediz., libro I, sez. 3) |
L'uomo è dunque il creatore, attraverso la storia, della civiltà umana. Nella storia l'uomo verifica il principio del verum ipsum factum creando così una scienza nuova che avrà un valore di verità come la matematica. Una scienza che ha per oggetto una realtà creata dall'uomo e quindi più vera e, rispetto alle astrazioni matematiche, concreta. La storia rappresenta la scienza delle cose fatte dall'uomo e, allo stesso tempo, la storia della stessa mente umana che ha fatto quelle cose.[22]
La definizione dell'uomo, della sua mente non può prescindere dal suo sviluppo storico se non si vuole ridurre tutto a un'astrazione. La concreta realtà dell'uomo è comprensibile solo riportandola al suo divenire storico. È assurdo credere, come fanno i cartesiani o i neoplatonici, che la ragione dell'uomo sia una realtà assoluta, sciolta da ogni condizionamento storico.
«La filosofia contempla la ragione, onde viene la scienza del vero; la filologia[23] osserva l'autorità dell'umano arbitrio onde viene la coscienza del certo...Questa medesima degnità (assioma) dimostra aver mancato per metà così i filosofi che non accertarono le loro ragioni con l'autorità de'filologi, come i filologi che non curarono d'avverare la loro autorità con la ragion dei filosofi» |
(Giambattista Vico Ibidem Degnità X) |
Ma la filologia da sola non basta, si ridurrebbe a una semplice raccolta di fatti che invece vanno spiegati dalla filosofia. Tra filologia e filosofia vi deve essere un rapporto di complementarità per cui si possa accertare il vero e inverare il certo. Compito della 'scienza nuova' sarà quello di indagare la storia alla ricerca di quei principi costanti che, secondo una concezione per certi versi platonizzante, fanno presupporre nell'azione storica l'esistenza di leggi che ne siano a fondamento com'è per tutte le altre scienze.
Rifarsi alla mente umana per comprendere la storia non è sufficiente: si vedrà, attraverso il corso degli avvenimenti storici, che la stessa mente dell'uomo è guidata da un principio superiore ad essa che la regola e la indirizza ai suoi fini che vanno al di là o contrastano con quelli che gli uomini si propongono di conseguire; così accade che, mentre l'umanità si dirige al perseguimento di intenti utilitaristici e individuali, si realizzino invece obiettivi di progresso e di giustizia secondo il principio della eterogenesi dei fini.
La storia umana in quanto opera creatrice dell'uomo gli appartiene per la conoscenza e per la guida degli eventi storici ma nel medesimo tempo lo stesso uomo è guidato dalla Provvidenza che prepone alla storia divina. Secondo Vico il metodo storico dovrà procedere attraverso l'analisi delle lingue dei popoli antichi «poiché i parlari volgari debono essere i testimoni più gravi degli antichi costumi de' popoli che si celebrarono nel tempo ch'essi si formarono le lingue», e quindi tramite lo studio del diritto, che è alla base dello sviluppo storico delle nazioni civili.
Questo metodo ha fatto identificare nella storia una legge fondamentale del suo sviluppo che avviene evolvendosi in tre età:
- l'età degli dei, «nella quale gli uomini gentili credettero vivere sotto divini governi, e ogni cosa esser loro comandata con gli auspici e gli oracoli»;[24]
- l'età degli eroi dove si costituiscono repubblica|repubbliche aristocrazia|aristocratiche;
- l'età degli uomini «nella quale tutti si riconobbero esser uguali in natura umana».[25]
La legge delle tre età costituisce la «storia ideale eterna sopra la quale corrono in tempo le storie di tutte le nazioni». Tutti i popoli indipendentemente l'uno dall'altro hanno conformato il loro corso storico a questa legge che non è solo delle genti ma anche di ogni singolo uomo che necessariamente si sviluppa passando dal primitivo senso nell'infanzia, alla fantasia nella fanciullezza, e infine alla ragione nell'età adulta.
Se nella storia pur tra le violenze, i disordini, appare un ordine e un progressivo sviluppo ciò è dovuto, secondo Vico, all'azione della Provvidenza che immette nell'agire dell'uomo un principio di verità che si presenta in modo diverso nelle tre età: nelle prime due età il vero si presenta come certo.
Vi è poi, nella seconda età della storia e dell'uomo, caratterizzata dalla fantasia, un sapere tutto particolare che Vico definisce poetico. In questa età nasce infatti il linguaggio non ancora razionale ma molto vicino alla poesia che «alle cose insensate dà senso e passione, ed è proprietà dei fanciulli di prender cose inanimate tra le mani e, trastullandosi, favellarvi, come se fussero, quelle, persone vive. Questa degnità filologica-filosofica ne appruova che gli uomini del mondo fanciullo, per natura, furono sublimi poeti.»[26]
Se vogliamo quindi conoscere la storia dei popoli antichi dobbiamo rifarci ai miti che hanno espresso nella loro cultura. Il mito non è solo una favola e neppure una verità presentata sotto le spoglie della fantasia ma è una verità di per sé elaborata dagli antichi che, incapaci di esprimersi razionalmente, si servivano di universali fantastici che, sotto spoglie poetiche, presentavano modelli ideali universali: come fecero ad esempio i Greci antichi che non definirono razionalmente la prudenza ma raccontarono di Ulisse, modello universale fantastico dell'uomo prudente.
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Note
modifica- ↑ Francesco Adorno, Tullio Gregory, Valerio Verra, Storia della filosofia, vol. II, p. 367, Editori Laterza, 1983.
- ↑ 2,0 2,1 Giambattista Vico, La scienza nuova (a cura di Paolo Rossi), p. 43, Biblioteca Universale Rizzoli, 2008.
- ↑ Giambattista Vico, La scienza nuova (a cura di Paolo Rossi), ibidem.
- ↑ B.Cioffi ed altri, I filosofi e le idee, Vol.II, B. Mondadori 2004, pag.543
- ↑ Francesco Adorno, Tullio Gregory, Valerio Verra, Storia della filosofia, vol. II, pp. 367-368, Editori Laterza, 1983.
- ↑ 6,0 6,1 6,2 6,3 6,4 Guido Fassò, Storia della filosofia del diritto. II: L'età moderna, pp. 213-216, Editori Laterza, 2001.
- ↑ Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, vol. 3, pp. 262-264, Gruppo Editoriale L'Espresso, 2006.
- ↑ 8,0 8,1 Giambattista Vico, La scienza nuova (a cura di Paolo Rossi), p. 44, Biblioteca Universale Rizzoli, 2008.
- ↑ Fausto Nicolini, Giambattista Vico nella vita domestica. La moglie, i figli, la casa, Editore Osanna Venosa, 1991
- ↑ 10,0 10,1 10,2 Giambattista Vico, La scienza nuova (a cura di Paolo Rossi), ibidem, Biblioteca Universale Rizzoli, 2008.
- ↑ Giambattista vico, Autobiografia, ed. Nicolini (Bompiani), Milano, 1947, p. 57.
- ↑ 12,0 12,1 Giambattista Vico, La scienza nuova (a cura di Paolo Rossi), p. 45, Biblioteca Universale Rizzoli, 2008.
- ↑ Ugo Grozio, Prolegomeni al diritto della guerra e della pace (a cura di Guido Fassò), cit. p. 16, Morano Editore, 1979.
- ↑ Giambattista Vico, La scienza nuova (a cura di Paolo Rossi), p. 46, Biblioteca Universale Rizzoli, 2008.
- ↑ Rivista di studi crociani, Volume 6, a cura della "Società napoletana di storia patria", 1969
- ↑ Ugo Maria Palanza, Letteratura italiana: storia e vita, ed. Federico & Ardia, p.305
- ↑ Vico che si era rivolto inutilmente per sovvenzionare la stampa dell'opera prima al cardinale Orsini, poi a Papa Clemente XII, fu costretto a vendere un anello per farla pubblicare. Vico scrisse in seguito che, in fondo, l'accaduto era stato un bene poiché lo aveva spinto a riscrivere l'opera in maniera più completa. (Cfr. M.Fubini, G.B.Vico. Autobiografia, Torino Einaudi 1965)
- ↑ M.Fubini, G.B.Vico. Autobiografia, Torino Einaudi 1965
- ↑ L'Autobiografia fu pubblicata postuma nel 1818 ampliata con una modifica di Vico del 1731.
- ↑ G. Vico, Op. cit ibidem.
- ↑ «Inesatto è altresì che il Vico terminasse di vivere il 20 gennaio 1744 a più di settantasei anni: per contrario, mancò ai vivi nella notte tra il 22 e il 23 gennaio e a settantacinque anni e sette mesi precisi. ...» in La Letteratura italiana: Storia e testi, Giambattista Vico, Ricciardi, 1953
- ↑ Vico è considerato da alcuni interpreti del suo pensiero come il primo costruttivista. Infatti Vico sostiene che l'uomo può conoscere solo ciò che può costruire, aggiungendo poi che in effetti solo Dio conosce veramente il mondo, avendolo creato lui stesso. Il mondo quindi è esperienza vissuta e al suo riguardo non vale per gli uomini alcuna pretesa di verità ontologia|ontologica. (In Watzlawick Paul, La realtà inventata, Feltrinelli, pag 26 e sgg.)
- ↑ Per Vico la filologia non è solo la scienza del linguaggio ma anche storia, usi e costumi, religioni...ecc. dei popoli antichi.
- ↑ «L'età degli dei nella quale gli uomini gentili credettero vivere sotto divini governi, e ogni cosa esser loro comandata con gli auspici e gli oracoli, che sono le più vecchie cose della storia profana: l'età degli eroi, nella quale dappertutto essi regnarono in repubbliche aristocratiche, per una certa da essi rifiutata differenza di superior natura a quella de' lor plebei; e finalmente l'età degli uomini, nella quale tutti si riconobbero esser uguali in natura umana, e perciò vi celebrarono prima le repubbliche popolari e finalmente le monarchie, le quali entrambe sono forma di governi umane» (G.Vico, Scienza Nuova, Idea dell'Opera)
- ↑ G.Vico,Scienza Nuova, Idea dell'Opera
- ↑ Ibidem Degnità XXXVII