Europa 7 è un'emittente televisiva italiana che trasmette dall'ottobre 2010 dopo una causa durata dieci anni.

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Europa 7
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Storia della radio e della televisione

La nascita

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Il circuito nasce per volontà dell'imprenditore Francesco Di Stefano con cui sostituisce Italia 7 tra il 1997 ed 1998. Il palinsesto consiste nel mandare in onda più volte a giornata vari programmi di cui alcuni sono della precedente emittente e gli stessi film varie volte al mese a ciclo continuo. Nel 1999 Di Stefano decide di avventurarsi nel progetto di creare una televisione nazionale con frequenze proprie e deve cedere sia l'emittente di cui è proprietario, la laziale Tvr Voxson, sia il circuito (quest'ultimo verrà poi gestito dal gruppo Media 2001).

Nel corso degli anni il network si è via via ridimensionato arrivando ad oggi a contare solo sei emittenti che coprono sette regioni. Dal gennaio 2006 poi non vengono più trasmesse serie animate, con una programmazione che si compone così di alcune pellicole cinematografiche e programmi di vario genere. Da maggio 2007 viene trasmessa in fascia preserale e in seconda serata la nuova edizione del varietà Seven Show.

La prospettiva come emittente nazionale e la lunga battaglia giudiziaria

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Nel luglio 1999, Francesco Di Stefano, dopo aver messo da parte i capitali derivati dalla precedente attività di syndication (12 miliardi di lire), decide di partecipare ad una gara pubblica per l' assegnazione delle frequenze televisive nazionali, prevista dalla Legge 31 luglio 1997, n. 249[1]. Il Piano nazionale di assegnazione delle frequenze per la radiodiffusione televisiva aveva individuato 51 bande usabili (45 della gamma UHF e 6 della gamma VHF). Per motivazione tecniche ad ogni emittente verrebbero assegnate 3 bande diverse su cui trasmettere, a seconda della zona geografica, per cui le emittenti nazionali teoriche sarebbero 17. Di queste 17 viene deciso che 6 sono assegnate all'emittenza locale, per cui rimangono 11 frequenze da assegnare per la trasmissione analogica su scala nazionale, 3 per la RAI e 8 per i privati. Oltre a questo rimangono libere alcune parti dello spettro usabili per la trasmissione, ma con una minore copertura del territorio, che verranno dedicate sempre alle emittenti locali [2]. La gara prevede, per semplificare e velocizzare le assegnazioni, che se un vincitore di concessione sta già trasmettendo su scala nazionale, in modo compatibile con quanto deciso dalle suddivisioni delle bande, può continuare ad impiegare le stesse frequenze, senza attendere il piano di adeguamento delle frequenze. In virtù del ristretto numero di frequenze assegnabili, gli articoli 1 e 2 della concessione prevedevano per i concessionari un termine massimo di 24 mesi dalla notifica della concessione per dimostrare, una volta avuta la frequenza (che quindi era previsto venisse fornita prima di questo termine) di essere in grado di usare le frequenze assegnate coprendo l'80% del territorio nazionale, compresi tutti i capoluoghi di provincia (per le assegnazioni effettuate con la precedente legge Mammì era sufficiente coprire il 60% del territorio), a cui si aggiungevano eventualmente altri 12 mesi di proroga in caso di problemi, a giudizio del Ministero.

Con Decreto Ministeriale del 28 luglio 1999 si dichiarano le vincitrici delle concessioni: delle 11 frequenze disponibili (3 assegnate alla la RAI e 8 per i gruppi privati) Di Stefano aveva partecipato per ottenere due concessioni, Europa 7 e 7 plus, e in un primo tempo riesce a vincere una concessione per Europa 7 (settima in classifica), al posto di Rete 4 (che sta trasmettendo dall'aprile 1998 grazie alle proroghe per il passaggio al digitale previste dall'art 3 comma 6 e 7 della legge 31 luglio 1997, n. 249[1]), la quale perde così il diritto di trasmettere. La commissione ministeriale della gara nega la richiesta per 7 plus, ma Francesco di Stefano fa ricorso al Consiglio di Stato, il quale ordina al ministero di dare anche una seconda concessione.

Le frequenze in un primo tempo non vengono subito assegnate, perché il nuovo piano delle frequenze viene ritardato, tra le altre cose, da altri ricorsi effettuati da Rete Mia, Rete Capri e Rete A (oltre a 7 Plus).[3]

Nel frattempo, Europa 7 si prepara per iniziare le nuove trasmissioni entro il 31 dicembre 1999 come prevede la licenza: il piano prevede 700 assunzioni, un centro di produzione a Roma di 20000 m2, composto da 8 studios e un importante library di programmi (nella graduatoria Europa 7 è prima in programmazione).

Europa 7, che, al contrario del servizio pubblico e di altri concessionari privati, non trasmette già su scala nazionale, deve tuttavia attendere il piano di assegnazione delle frequenze per poter iniziare le trasmissioni: il ministero, contravvenendo al risultato della gara pubblica non concede le frequenze, che continuano ad essere impiegate dalle "reti eccedenti" (Rete 4 e Tele+ nero) e con una autorizzazione ministeriale del 1999 (non prevista da nessuna legge) permette la prosecuzione delle trasmissioni analogiche a Rete 4, che in base alla gara pubblica non ne aveva diritto. Il ministero comunque, in una nota del 22 dicembre 1999, si impegnava con Centro Europa 7 perché in breve tempo si arrivasse "di concerto con l'Autorità, alla definizione del programma di adeguamento al piano d'assegnazione delle frequenze"[3]. Europa 7 ricorrerà contro questa nota, e il Tar, nel 2004 (sentenza n. 9325/04), gli darà ragione, sostenendo che il Ministero doveva assegnare subito le frequenze una volta deciso di dargli la concessione, e non rimandare la cosa senza una apparente motivazione[3].

Nel novembre 2002, interviene la Corte Costituzionale, a cui viene chiesto di valutare la costituzionalita degli articoli art. 3, comma 6 e 7, della legge 31 luglio 1997, n. 249[1], che permettono a chi ha un numero di reti superiore alle due massime previste di prorogare le trasmissioni in analogico, a patto che a queste si inizino ad affiancare le trasmissioni in digitale, fino ad un termine che doveva essere deciso dall'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. La corte con la sentenza 466/2002 [4], conferma, come già affermato nel 1994 [5], che nessun privato può possedere più di 2 frequenze televisive e le reti eccedenti (in questo caso Rete 4 e Tele+nero), devono cessare la trasmissione in via analogica terrestre. La Corte specifica anche che un accentramento di reti è anche ben più grave che nel 1994, essendoci allora 12 frequenze nazionali disponibili in chiaro, mentre ora ve ne sono solo 11 di cui alcune criptate. La Corte, tuttavia ritiene non incostituzionale l'art 6 (che ammette le proroghe), ma incostituzionale l'art. 3 comma 7 (per cui la fissazione della proroga al poter usare le frequenze terresti prima del trasferimento obbligatorio alle trasmissioni digitali non era fissato dalla legge e la sua decisione era demandata all'Autorità per le Comunicazioni) e fissa un limite improrogabile entro il 31 dicembre 2003 per il passaggio esclusivo al satellite e/o al cavo (basandosi su una valutazione dell'AGCOM che riteneva quella data sufficiente per trasferire tutte le trasmissioni di Rete4 e Tele+nero su mezzi digitali), senza ovviamente entrare nello specifico del caso della ricorrente Europa 7 (che aveva chiesto di considerare incostituzionali entrambi i commi, in quanto "l'attuale normativa di settore", ovvero le proroghe per le reti eccedenti regolate dai due commi, "le impedirebbe di utilizzare concretamente le frequenze che le sono state assegnate nella fase di pianificazione"), che per le precedenti decisioni (il DM del luglio 1999) rimaneva comunque l'assegnataria delle frequenze che così si fossero liberate.
La Corte era chiamata ad esprimersi sulla supposta incostituzionalità dei due articoli che permettevano la prosecuzione delle trasmissioni alle "reti eccedenti", non sulla correttezza della vecchia gara di assegnazione delle concessioni nazionali, infatti specifica che:

«Nel contempo, il collegio rimettente precisa che l'obiettivo della sottoposizione delle questioni all'esame della Corte è quello di impedire la continuazione in modo indefinito — attraverso "una facoltà non delimitata nel tempo" — dell'assetto giudicato incostituzionale dalla sentenza n. 420 del 1994, con conseguenze sulla disponibilità delle frequenze, sul pluralismo informativo e, quindi, sulla legittimità delle impugnate concessioni ed autorizzazioni, nonché delle relative clausole.»

(dalla sentenza 466/2002 della Corte Costituzionale)

Nel estate del 2003, il ministro delle comunicazioni Maurizio Gasparri presenta un disegno di legge per il riordino del sistema radiotelevisivo italiano e l'introduzione della trasmissione digitale terrestre. La legge (nota come legge Gasparri) verrà approvata dal Parlamento il dicembre 2003, la quale permette a Rete 4 di continuare a trasmettere in via analogica terrestre in netto e palese contrasto con la sentenza della Corte Costituzionale, ma in continuità con la riforma del sistema radiotelevisivo del marzo 2001.

Successivamente, il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, rifiuta di firmare la legge come incostituzionale e la rinvia alle camere, facendo esplicito riferimento al concetto di un termine certo per il reggime transitorio introdotto dalla sentenza n. 466 del 20 novembre 2002 della corte costituzionale[6]. Così, per poter garantire a Rete 4 di continuare a trasmettere via etere, il 24 dicembre 2003 il governo Berlusconi vara un decreto legge (noto come decreto giornalisticamente come "decreto salva Rete 4"). La legge Gasparri si approva definitivamente nell'aprile 2004, anch'essa senza prendere in considerazione la sentenza 466/2002 della Corte Costituzionale.

Nel luglio 2005 il Consiglio di Stato,[3] dopo il ricorso di Centro Europa 7, ha chiesto alla Corte di Giustizia Europea di rispondere a 10 quesiti,[7] dove si mettono in discussione le leggi italiane in materia di televisioni ed è in ballo una richiesta sempre da parte di Europa 7 per risarcimento danni da parte dello Stato di 3 miliardi di euro per la mancata attività televisiva.

Il 30 novembre 2006 si è tenuta l'udienza alla Corte di Giustizia Europea[8]; durante l'udienza l'avvocatura dello Stato ha difeso la legge Gasparri e sostenuto le posizioni precedentemente espresse nella memoria difensiva del precedente governo.[9][10]

Successivamente, dopo alcune interrogazioni alla Presidenza del Consiglio e al Ministero dei Beni Culturali da parte di esponenti dell'Unione e dopo che lo stesso ministro Gentiloni aveva disconosciuto l'operato dell'avvocatura dello Stato, il 13 dicembre l'avvocatura ha precisato, in risposta alle dichiarazioni del ministro, di aver sostenuto in sede comunitaria che i problemi di trasmissione di Europa 7 non riguardavano la legge Gasparri, ma la precedente legge Maccanico varata nel 1997 e che anzi, secondo alcune interpretazioni dell'art 23 della legge Gasparri, che regolamenta la "fase di avvio delle trasmissioni televisive in tecnica digitale", sarebbe permesso a Di Stefano di acquistare delle frequenze da un operatore già attivo ed iniziare a trasmettere in attesa del passaggio completo al digitale terrestre. L'avvocatura ha anche sostenuto di aver informato la Corte di giustizia europea che, in caso di approvazione del ddl Gentiloni di modifica della legge Gasparri, la società Centro Europa Sette avrebbe potuto ottenere le frequenze che le spettavano.[11][12]

La sentenza

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La sentenza della corte, inizialmente prevista per il maggio 2007, è stata più volte rimandata[13]; il 12 settembre dello stesso anno le conclusioni dell'avvocatura generale della Corte evidenziavano che:

«L'art. 49 CE richiede che l'assegnazione di un numero limitato di concessioni per la radiodiffusione televisiva in ambito nazionale a favore di operatori privati si svolga in conformità a procedure di selezione trasparenti e non discriminatorie e che, inoltre, sia data piena attuazione al loro esito.

I giudici nazionali devono esaminare attentamente le ragioni addotte da uno Stato membro per ritardare l'assegnazione di frequenze ad un operatore che così ha ottenuto diritti di radiodiffusione televisiva in ambito nazionale e, se necessario, ordinare rimedi appropriati per garantire che tali diritti non rimangano illusori»

(Causa C-380/05, conclusioni dell'avvocato generale Poiares Maduro [14])

Il 31 gennaio 2008 la Corte ha emesso la sentenza su tale ricorso:

«L'art. 49 CE e, a decorrere dal momento della loro applicabilità, l'art. 9, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 marzo 2002, 2002/21/CE, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva «quadro»), gli artt. 5, nn. 1 e 2, secondo comma, e 7, n. 3, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 marzo 2002, 2002/20/CE, relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (direttiva «autorizzazioni»), nonché l'art. 4 della direttiva della Commissione 16 settembre 2002, 2002/77/CE, relativa alla concorrenza nei mercati delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica, devono essere interpretati nel senso che essi ostano, in materia di trasmissione televisiva, ad una normativa nazionale la cui applicazione conduca a che un operatore titolare di una concessione si trovi nell'impossibilità di trasmettere in mancanza di frequenze di trasmissione assegnate sulla base di criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati.»

Oggi la società Europa 7 è praticamente ferma. Francesco Di Stefano, suo fondatore, intervistato da la Stampa ad aprile 2006, attende la sentenza della Corte di Giustizia Europea. La sua vicenda è però seguita da alcune persone: il giornalista di v Giovanni Valentini, l'associazione Articolo 21 (in testa il portavoce Giuseppe Giulietti), Dario Fo e Franca Rame, Marco Travaglio, Beppe Grillo, Antonio Di Pietro e l'Italia dei Valori, Tana De Zulueta, l'ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e Piero Ricca del gruppo Qui Milano Libera. Anche la stampa europea ha dato attenzione a questa vicenda, per esempio il noto giornale tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, nell'estate Frankfurter Allgemeine Zeitung. Anche il ministro Gentiloni ha riconosciuto il problema irrisolto[15]. L'intervista fatta a Di Stefano da Piero Ricca (messa sul sito di Beppe Grillo e su YouTube) ha raccolto più di 200.000 visualizzazioni. Solo dopo la sentenza della UE la vicenda trova finalmente spazio sui media italiani.

Il 1 agosto 2007, le commissioni della Camera dei Deputati hanno approvato un emendamento, il 2340, firmato da esponenti del centro-sinistra, che riconosce a Europa 7 i diritti di prelazione sulle frequenze liberate dalla messa sul digitale di 1 rete Rai e Retequattro. Nel luglio 2010 ha iniziato le trasmissioni sperimentali, nell'ottobre 2010 ha iniziato ufficialmente le trasmissioni. Insieme a Europa 7, il canale trasmette anche una pay tv sul digitale terrestre, Europa7 HD, formata da 9 canali trasmessi in alta definizione.

  1. 1,0 1,1 1,2 legge 31 luglio 1997, n. 249
  2. Piano nazionale di assegnazione delle frequenze per la radiodiffusione televisiva, sintesi della delibera n. 68/98 dell'AGCOM
  3. 3,0 3,1 3,2 3,3 Ordinanza del Consiglio di Stato del 19 luglio 2005
  4. sentenza n 466/2002 della Corte Costituzionale
  5. sentenza n 420/1994 della Corte Costituzionale
  6. Messaggio con cui il presidente Ciampi ha rinviato in data 15 dicembre 2003 la legge Gasparri alle Camere
  7. Dettagli Causa C-380/05 Centro Europa 7 in materia di Politica industriale
  8. Quarta Sezione della corte, trattazione orale della causa C-380/05 Centro Europa 7, Calendario 30 nov 2006
  9. Interpellanza su Europa 7 dell'On. Tana De Zulueta
  10. Europa 7, Giulietti: il governo difende Mediaset? E la legge Gasparri?, articolo de "L'Unità", del 6 dicembre 2006
  11. Botta e risposta su Europa 7, articolo di millecanali.it, del 28 dicembre 2006
  12. Europa 7 - Il calvario continua, articolo di luogocomune che ricostruisce la vicenda dell'udienza alla Corte di Giustizia Europea del 30 novembre 2006 e i fatti seguenti
  13. Calendaro della Corte di giustizia delle Comunità europea
  14. Causa C-380/05, conclusioni dell'avvocato generale Poiares Maduro, presentate il 12 settembre 2007
  15. Blog ufficiale del ministro Paolo Gentiloni[1]

Voce correlate

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Collegamenti esterni

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