Esametro dattilico

L' esametro o più propriamente esametro dattilico, o esametro eroico è il più antico e il più importante dei metri in uso nella poesia greca e latina, usato in particolar modo per la poesia epica o poesia didascalica. Secondo le definizioni della metrica classica esso consiste in una esapodia dattilica catalettica, ossia di un verso formato da sei piedi dattilici ( ), di cui l'ultimo manca di una sillaba (catalettico), secondo lo schema:

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Esametro dattilico
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Metrica classica

L'origine dell'esametro rimonta alla protostoria del mondo greco: gli studiosi hanno vivacemente dibattuto sulla possibilità che esso fosse già in uso in età micenea, senza raggiungere risultati definitivi. Fosse già stato usato oppure no nel II milennio a.C., l'esametro aveva senza dubbio alle spalle una storia di secolare elaborazione orale da parte degli aedi prima di approdare alla più antica forma a noi nota, quella omerica, una forma che, nonostante le numerose anomalie rispetto alle epoche posteriori, è frutto di una tecnica raffinata. Dopo Omero, nell'età arcaica fu ancora usato per la poesia eroica (poemi ciclici) e per quella didascalica di Esiodo; gli stessi poeti lirici lo usarono talvolta, non solo nel distico elegiaco, ma anche come metro autonomo, come è il caso degli epitalami di Saffo. Meno nota è invece la sua evoluzione in età classica, a causa delle numerose lacune della nostra conoscenza della letteratura dell'epoca.

Il verso conobbe poi un nuovo periodo di grande vitalità in epoca ellenistica, con la ripresa, da parte dei poeti alessandrini, della poesia epica (in particolare con Apollonio Rodio), dell'epillio (l'Ecate di Callimaco), degli Inni in stile omerico (gli Inni, sempre di Callimaco), e della poesia didascalica (Arato di Soli). Gli alessandrini, ed in particolare Callimaco, il cui esempio fece scuola, affinarono il verso omerico, restringendo il numero degli schemi ammessi rispetto a quello omerico; la tendenza al sempre maggior virtuosismo metrico restò una costante nella poesia di epoca romana e raggiunse il suo culmine, al termine dell'età antica, nelle Dionisiache di Nonno: rispetto ai 32 schemi dell'esametro omerico, Nonno ne ammette solo 9, in un'età in cui il senso della quantità andava perdendosi (sebbene si riscontri la tendenza sempre più pronunciata, soprattutto nella seconda parte di verso, a far coincidere ictus metrico e accento tonico delle parole).

Dalla Grecia, l'esametro in età ellenistica fu introdotto nella letteratura latina ad opera di Ennio, adattandosi alle diverse possibilità espressive della lingua latina (ad esempio le figure di suono giocano un ruolo molto più importante nella poesia latina che in quella greca), affinandosi progressivamente prima con Lucrezio e Catullo, e quindi con i poeti di età augustea, in primo luogo Virgilio ma anche Orazio, per poi restare in uso sino alla tardo antichità e oltre.

L'esametro, verso eroico per definizione, rimase sempre strettamente legato alla poesia epica, tanto in Grecia quanto a Roma: i poemi omerici, le Argonautiche, le Dionisiache, e a Roma l'Eneide sono i massimi capolavori di questo genere, a cui si affiancano l'epillio (come l'Ecale di Callimaco, o il carme 64 di Catullo) e, specialmente a Roma, l'epica storica, rappresentata tanto dai perduti Annales di Ennio che dalla Pharsalia di Lucano. Accanto alla poesia epica, divenne, da Esiodo in poi, il metro della poesia didascalica: a Roma questo suo uso sarà sancito dal De rerum natura di Lucrezio, e si manterrà vivo sino all'età tardoantica; mentre prima con Lucilio e poi con Orazio, in un adattamento che è tipicamente romano, l'esametro diviene anche il metro della satira e dell'epistola in versi. Grazie all'opera di Teocrito e di Virgilio, esso divenne inoltre il metro della poesia bucolica. Raro invece fu il suo utilizzo nel campo della poesia lirica, sia nel mondo greco che nel mondo romano: Saffo però lo usò nei suoi epitalami, e fu ripresa in questo da Catullo.

Struttura

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Lo schema di base dell'esametro, è, come si è detto:                  X.

Dal momento che la quantità dell'ultima sillaba è indifferente, l'ultimo piede può essere tanto uno spondeo quanto un trocheo; per gli altri piedi l'unica sostituzione ammessa al dattilo è lo spondeo. La soluzione del dattilo in uno spondeo è possibile in tutti i primi cinque piedi, ma non è egualmente frequente: il quinto piede, in particolare, è di norma un dattilo e la tendenza dell'esametro più tardo è quella di evitare sempre più le agglomerazioni di spondei, soprattutto nella seconda parte del verso. I piedi in cui lo spondeo si incontra più di frequente sono il terzo e il secondo.

A seconda dei differenti schemi metrici, si distinguono vari tipi di esametri:

  • esametro olodattilico: un esametro composto solo di dattili. È uno schema abbastanza frequente.
  • esametro olospondaico: un esametro composto solo da spondei. È una forma rarissima.
  • esametro spondaico: quando lo spondeo compare in quinta sede, posizione generalmente evitata, l'esametro si definisce spondaico. Non è un verso molto frequente, e nell'evoluzione del metro si fa sempre più raro. In Omero la sua presenza è ancora abbastanza significativa; i poeti ellenistici lo usano per lo più con intento arcaizzante, nell'epica di Nonno è completamente assente. In caso di esametro spondaico, il quarto piede è di norma un dattilo, e il verso si conclude con un trisillabo o quadrisillabo (inglobando così in parte o interamente il quinto piede)

Pause metriche

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A causa della sua lunghezza, l'esametro necessita di una o due pause al suo interno, che possono assumere la forma di una dieresi o di una cesura. L'esametro ammette cinque pause:

  • la cesura tritemimera o semiternaria, dopo il terzo mezzo piede, ossia dopo la tesi del secondo piede;
  • la cesura pentemimera o semiquinaria, dopo il quinto mezzo piede, ossia dopo la tesi del terzo piede;
  • la cesura κατὰ τὸν τρίτον τροχαῖον (ovvero del terzo trocheo) ossia tra le due sillabe brevi del terzo dattilo;
  • la cesura eftemimera o semisettenaria: dopo il settimo mezzo piede, ossia dopo la tesi del quarto piede;
  • la dieresi bucolica: (così chiamata perché particolarmente frequente nella poesia bucolica): tra il quarto e il quinto piede.

In generale, le pause più comuni sono la pentemimera e quella dopo il terzo trocheo; la tritemimera compare solo se nel verso è presente un'altra cesura, di solito un'eftemimera; anche la dieresi bucolica spesso appare in combinazione con un'altra pausa. La distribuzione di queste pause varia in maniera considerevole a seconda degli esempi considerati. In Omero, la pentemimera è altrettanto frequente di quella dopo il terzo trocheo, ma la sua frequenza diminuisce nella poesia alessandrina e diviene ancora più rara nei poeti tardoantichi, che usano anche molto raramente la dieresi bucolica. Nell'esametro latino, al contrario, la cesura dopo il terzo trocheo è piuttosto rara, mentre non è infrequente l'eftemimera da sola, ed è ricercata la combinazione pentemimera-eftemimera; la dieresi bucolica è sempre preceduta da un'altra cesura.

Alcuni esempi di cesure

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  • Μῆνιν ἄειδε θεά, || Πηληϊάδεω Ἀχιλῆος (Iliade, I, 1) (pentemimera)
  • Ἄνδρα μόι ἔννεπε, Μοῦσα || πολύτροπον || ὃς μάλα πολλά (Odissea, I, 1) (cesura dopo il terzo trocheo e dieresi bucolica)
  • Διογενὲς || Λαερτιάδη || πολυμήχαν' Ὀδυσσεῦ (Iliade II 173) (tritemimera e pentemimera)
  • Arma virumque cano || Troiae qui primus ab oris (Eneide I 1) (pentemimera)
  • Flammam animaeque corpus || vita relinquit aegrum (Anonimo) (eftemimera)
  • Obruit Auster aqua involvens || navemque virosque (Eneide VI 336) (eftemimera)
  • Quidve dolens || regina deum || tot volvere casus (Eneide I 9 (tritemimera ed eftemimera)
  • Dic mihi, Damoeta, || cuium pecus? || An Moeliboei? (Bucoliche, III, 1) (pentemimera e dieresi bucolica)

Per zeugma o ponte si intende un punto del verso in cui si evita di far terminare le parole. Nell'esametro, si possono riscontrare questi zeugmi:

  1. Ponte di Hermann (dal nome del filologo che lo scoprì): c'è sempre zeugma tra le due sillabe brevi del quarto piede. Nella poesia greca, le eccezioni sono rarissime; la poesia latina, invece, non lo rispetta.
  2. Ponte centrale: mentre sono normali la cesura femminile o pentemimera, si evita costantemente di far coincidere la fine del terzo piede con la fine di parola, per evitare l'impressione di un doppio trimetro.
  3. Lo zeugma è più o meno severo tra uno spondeo formato da una sola parola e il piede seguente. Questa regola è ferrea nel caso sia il terzo piede ad essere spondaico; non agisce invece se si tratta del primo piede.