Cultura della cittadinanza europea

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Cultura della cittadinanza europea
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Didattica generale

La cultura della cittadinanza come fulcro dei valori dell'etica pubblica

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Nel vertice di Laeken del Consiglio d'Europa per la prima volta si è parlato di Costituzione europea. Il 15 dicembre 2001 è stata varata la Convenzione per le riforme costituzionali che devono essere approntate entro il 2003. Nel documento finale è stata riconosciuta la necessità di adottare un testo costituzionale, indicando l'inizio di un “cammino verso una Costituzione per i cittadini europei”. Nel 2003 alla Convenzione seguirà una Conferenza intergovernativa che prenderà le decisioni finali sulle riforme dei Trattati e, in particolare, sull'eventuale adozione di una vera e propria Costituzione, anche nella prospettiva dell'allargamento agli Stati dell'Europa centro-orientale, previsto entro il 2004. Così, con il varo della moneta unica (l'euro) , che completa l'unione economica, si rimette in moto il processo più lento e controverso di unificazione politica, che vedrà al lavoro i rappresentanti e gli esperti incaricati di tracciare le linee della struttura istituzionale dell'Europa federale.

Ma affinché le difficoltà (riserve, diritto di veto, ecc.) vengano superate il disegno europeo deve essere accompagnato da un'opera di sensibilizzazione e di coinvolgimento della società civile, che non può non coinvolgere anche l'educazione scolastica, cioè la maturazione nei ragazzi, adolescenti e giovani della capacità di affrontare le questioni che riguardano la sfera dei valori fondanti e dei principi costitutivi della cittadinanza europea . Infatti, la realizzazione del quadro politico e normativo dell'Europa del XXI secolo, che non sia soltanto una struttura economica e un'associazione intergovernativa, deve essere sorretta da una costituzione unitaria che si fondi sui principi di un'ampia legittimazione democratica e da un'effettiva coscienza comunitaria alimentata da solidi legami etico-civili, che rientrano nei compiti imprescindibili della formazione proposta dalla scuola .

L'attivazione delle forme più avanzate di condivisione della sovranità è la garanzia della costruzione di un'Europa dei popoli che sia la loro espressione diretta e in cui essi riconoscano, a partire dalla maturazione della consapevolezza che l'essenza dell'identità europea si basa sulla coesistenza di una pluralità di culture e sulla valorizzazione di un patrimonio etico-civile comune, come unità nella diversità, che deve diventare oggetto di conoscenza e di condivisione razionale, soprattutto in riferimento alle nuove e future generazioni, entro una scuola riformata e rinnovata come luogo di istruzione qualificata e di educazione valoriale.

In un momento cruciale, quindi, in cui il progetto di Europa unita non è più un sogno proibito, ma una speranza ragionevole gli insegnanti non possono assumere un atteggiamento di indifferenza: essi sono chiamati ad esercitare un atto di responsabilità intellettuale e morale in grado di rispondere all'interrogativo di fondo: su che cosa fare a livello educativo per trasformare l'Europa attuale in un insieme di popoli uniti da un comune sentire nell'ambito di un unico sistema economico, sociale, politico, istituzionale e culturale ; in particolare, su come si può orientare il lavoro scolastico alla costruzione del nuovo cittadino europeo, ponendola come compito qualificato dell'impegno formativo rivolto a promuovere i diritti di cittadinanza, a partire dal riconoscimento di tutte le dimensioni della cittadinanza, che si danno a più livelli: per un verso quelle giuridico-costituzionale, sociale e politica; per un altro quelle nazionale-italiana ed europea, urbano-regionale e internazionale; infine, quelle ambientale, naturale e multimediale, proprie dell'età della globalizzazione. Dunque, l'idea della cittadinanza europea rientra in una concezione della cittadinanza plurale come sapere interdisciplinare, trasversale a molte o a tutte le discipline, non riconducibile quindi solo a quella cenerentola delle materie quale si è rivelata nel tempo l' “educazione civica”.

Il senso innovativo e autentico di un' “educazione civile” (denominazione che risulta più appropriata) va ricercato in una cultura della cittadinanza innervata dai valori dell'etica pubblica, come quelli della dignità, della libertà, dell'uguaglianza, della solidarietà, della giustizia, compreso quello della cittadinanza, costituiscono i principi fondanti su cui è costruita la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclama a Nizza il 7 dicembre 2000, il cui preambolo si apre enunciando questi impegnativi intenti: “I popoli europei nel creare tra loro un'unione sempre più stretta hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni. Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà; l'Unione si basa sui principi di democrazia e dello stato di diritto. Essa pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell'Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia”.

Questi, perciò, gli obiettivi guida della proposta didattica di tipo modulare come capacità da sviluppare:
a) saper identificare il momento fondante della civiltà europea, con l'aiuto di una valida impostazione storiografica, guidata da un criterio complessivo che armonizzi in una visione unitaria gli aspetti economici, sociali, politici, religiosi, demografici, territoriali e culturali, evitando di cadere in una lettura parziale, ad esempio quella che fa coincidere la storia europea con quella dell'Europa occidentale;
b) saper rispondere all'interrogativo se esiste davvero l'identità europea, cercando di riconoscere nell'evoluzione delle strutture economiche, delle istituzioni politiche, dei movimenti sociali e dei processi culturali dei diversi Stati, un comune modello di fondo - configurato entro una stessa cornice politica e civile, etica e religiosa – che ha determinato uno specifico senso di appartenenza;
c) saper comprendere le divergenze tra la storiografia nazionalistica e quella scientifica, soprattutto in relazione all'identificazione della parte originaria come centro dell'Europa e al riconoscimento dell'apporto dei diversi Paesi alla costruzione di un'unità progressiva, con particolare attenzione all'Italia e ai suoi momenti più alti come quello comunale e quello rinascimentale;
d) saper conoscere gli ostacoli all'unità che si sono verificati nel corso dei secoli, a cominciare da quelli più tragici, come il colonialismo e le guerre (anche di religione), il razzismo e l'intolleranza, sui quali comunque hanno prevalso i fattori unificanti del cambiamento come le grandi rivoluzioni moderne: quella politica (inglese e francese) , quella religiosa (luterana e calvinista) e quella economica (industriale e tecnologica), da cui sono derivate quella urbana e demografica, quella sociale e quella culturale ;
e) saper ampliare l'orizzonte culturale per proiettarsi nell'ottica di una letteratura europea, che comincia quando finisce quella latina con la nascita delle lingue romanze e la formazione di quelle nazionali: la prospettiva è arrivare a una letteratura comparata (attraverso, ad esempio, un approccio per generi: poesia, romanzo, teatro, ecc.) che consenta di cogliere le sincronie e gli influssi reciproci tra le diverse aree linguistiche.

In questo senso, la costruzione dell'unità politica non può non avere un punto di forza anche in campo culturale, a cominciare da quello letterario, allargato a quello giuridico, filosofico, scientifico, storiografico, ecc. Ciò comporta necessariamente il ripensamento e il cambiamento sostanziale del modo di fare scuola, in particolare dell'insegnamento e apprendimento della storia: una storia europea (non eurocentrica) rapportata a monte e a valle rispettivamente alla storia nazionale e a quella internazionale, alla storia locale e a quella globale (o “glocale”), come connotato della globalizzazione, che non è solo economica, ma anche sociale, politica e culturale.

Alcuni parametri culturali per la costruzione della “casa comune” europea

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La messa al centro della storia dell'Europa costituisce la base più efficace e valida per comprendere e far proprie le ragioni dell'unità economica e istituzionale, sociale e culturale del Continente, seguendo una linea che collega la tensione unitaria recente alle sue origini, individuando i momenti fondamentali di un'identità europea proiettata nel tempo e nello spazio. Oggi, con l'unità economica realizzata e con quella politica in via di attuazione, cercare le radici dell'Europa è impellente e rende evidente l'utilità culturale e formativa della disciplina storica: quella di spiegare il presente, cercandone le radici nel passato per progettare il futuro. Dal punto di vista storiografico l'aspetto più controverso è costituito dal passato, nel senso che il filo di una tradizione culturale e civile, da considerare alla base della moderna Europa e del nostro presente, secondo alcuni storici è iniziato nel mondo greco-romano (da cui deriva anche il nome mitologico di Europa); secondo altri nell'epoca di Carlo Magno (che ha contribuito soprattutto all'unità culturale); per altri ancora nella rinascita delle città e lo sviluppo di grandi agglomerati urbani (Italia settentrionale, Fiandre, coste del Baltico, ecc.) legati tra loro da una rete “europea” di comunicazioni e di scambi, che hanno determinato il superamento dei limiti dell'Europa carolingia e l'ampliamento progressivo verso il Nord, il Mediterraneo e l'Oriente .

Non solo, quindi, l'Europa occidentale, ma anche quella settentrionale, quella orientale e quella mediterranea: in ciò la motivazione di un'unità continentale che vada oltre i quindici Stati attuali e che sia il risultato di diversi strati storici (antiche e moderni) e di molteplici eredità, sia positive che tragiche (grecità, impero romano, cristianesimo, rinascimento, rivoluzione scientifica, illuminismo, romanticismo, idealismo, positivismo, esistenzialismo, liberalismo, socialismo, fascismo, nazismo, ecc.), compreso i tentativi perversi di unificazione europea, come quelli di Napoleone e di Hitler.

Una particolare importanza va riconosciuta alla storia dell'Europa unita dal Manifesto di Ventotene al trattato di Maastricht: cinquant'anni (1941-1991) di europeismo segnato dalla tensione tra utopia federalista (impersonificata in Italia, dopo Carlo Cattaneo, da Altiero Spinelli e rivolta alla costituzione di uno Stato federale) e realismo “funzionalista” (rappresentato da uomini di ispirazione democratico-cristiana come Schumann, Adenauer e De Gasperi), che si è imposto negli ultimi cinquant'anni oscillando tra integrazione sovranazionale e ragion di Stato, tra obiettivi sempre più impegnativi e interessi nazionali, tra “guerra fredda” e distensione, che ha tracciato un itinerario accidentato e discontinuo, dall'Europa dei sei a quella dei nove e successivamente dei dodici e dei quindici.

Su di esso la causa europeista è progredita secondo un metodo di azione comunitaria costituito dalla politica dei piccoli passi, incentrata sugli accordi di cooperazione settoriale e graduale, cioè sul pragmatismo e sul compromesso tra le posizioni “euroscettiche” e quelle “euroentusiastiche”, quindi tra differenti logiche e prospettive, come momenti dialettici tesi verso una nuova e più grande Europa . Di essi in sede scolastica vanno spiegate le ragioni, calandole nella realtà dei diversi ordinamenti legislativi, delle molteplici tradizioni, costumi e mentalità, su cui effettuare quelle scelte definitive che impegneranno sempre di più le nuove e future generazioni, nel compimento dell'Europa unita, che sia anche la loro Europa, non solo quella calata dall'alto.

Ciò presuppone la formazione di un “demos” europeo e di un'identità diffusa che impegna la responsabilità della scuola, assegnandole un compito culturale strategico e, forse, insostituibile, nel disegnare e far crescere un'unità che non sia solo di facciata, la cui attuazione impegnerà soprattutto i futuri cittadini e la loro capacità di affrontare “la sfida della costituzionalizzazione” , cioè trasformare in una realtà quello che è ancora un progetto, come processo in fieri . La base di partenza è costituita dall'Europa delle nazioni (di origine medievale) , il cui futuro unitario è legato all'armonizzazione delle differenze storiche (lingue, istituzioni, mentalità, organizzazione sociale, confessioni religiose, ecc.), secondo tre modelli possibili: quello federalista, quello internazionalista e quello funzionalista.

Per un laboratorio della cittadinanza europea

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Questi sono, in estrema sintesi, i riferimenti essenziali relativi al perché (finalità e obiettivi) e al che cosa (contenuti) di un lavoro in classe che riconosce alla storia un ruolo propulsivo e che ricostruisce i molteplici aspetti di una complessità materiale e culturale valorizzando gli apporti delle altre discipline: da quelli economici e giuridici a quelli letterari e linguistici, da quelli filosofici a quelli religiosi, ecc. Dunque, in riferimento al come, un approccio flessibile, di spessore disciplinare (quella storica come base minima) e tendenzialmente interdisciplinare (come condizione ottimale), condotto con il metodo laboratoriale che attiva dinamiche interrelazionali, di natura cognitiva, emotiva e operativa, fortemente innovative sotto l'aspetto umano, culturale e educativo; cioè una socializzazione ricca, un'istruzione qualificata e un'educazione coscientizzante rispetto ai valori della convivenza civile. In questo senso, il laboratorio come didattica delle competenze che sviluppa l'apprendimento come processo, “è un luogo ‘logico', è l'insieme delle condizioni che consentono questo genere di apprendimento.

Quando si ‘entra' in esso, lo studente impara a delimitare preliminarmente il campo di indagine e, a un livello superiore di complessità, a formulare ipotesi che guideranno la sua ricognizione, sarà chiamato a cercare, leggere, analizzare, criticare le fonti; dovrà impegnarsi a selezionare le informazioni in modo coerente con l'indirizzo della sua indagine e a generalizzarle in uno sforzo di contestualizzazione che dia carattere estensivo alle sue conoscenze tale da ritrovarle, poi, sotto la forma delle varie manifestazioni concrete che possono assumere in altri contesti. In questo passaggio l'apprendimento si esprime come movimento tra conoscere e riconoscere” , ancorandolo al metodo delle “sensate esperienze” e delle “necessarie dimostrazioni”, che trasforma la scuola in un grande laboratorio di ricerca didattica, costituito da tanti laboratori settoriali, alcuni già esistenti (quelli di fisica, di scienze, di informatica, di lingua straniera, ecc.), altri da costituire (come quelli di storia, di italiano, di storia dell'arte, ecc.), secondo una nuova concezione della scientificità che, sul piano del metodo, va riconosciuta a tutte le discipline e sul quello dei contenuti esprime i connotati di uno statuto epistemologico segnato dal paradigma della complessità.

La scientificità e le complessità costituiscono i capisaldi su cui costruire anche il modulo didattico sulla cultura della cittadinanza europea, qui proposto in una dimensione disciplinare e tendenzialmente pluridisciplinare, qual è quella della storia come scienza sociale orientata ad una spiegazione complessa (“nuova storia”, o “storia totale”), che attinge ad un numero ampio di discipline, tra cui quelle corrispondenti alla gran parte delle discipline fondamentali del curricolo su cui si fonda la formazione culturale comune. La cittadinanza europea, dunque, come laboratorio didattico entro una scuola che si rinnova dall'interno costruendo nuovi assi culturali e educativi su cui sviluppare la passione del conoscere e del vivere civile alimentata dalle “virtù pubbliche”, come condizione per superare il deficit democratico delle istituzioni europee, nel senso che “la disaffezione dei cittadini nei confronti delle istituzioni (un fenomeno che si rileva in tutta Europa) è in misura non piccola dovuta alla carenza di legittimazione democratica delle istituzioni dalle quali dipende il destino di ciascuno” .