Contrattualistica/Formazione del contratto

La formazione del contratto postula necessariamente l'accordo (in idem placitum consensus), e perciò il legislatore si preoccupa essenzialmente del momento in cui il contratto si perfeziona, in quanto proprio da quel momento nasce il vincolo a carico dei contraenti, il loro impegno cioè a rispettare il contenuto di una regolamentazione di interessi che si sono autoimposti[1].

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Contrattualistica/Formazione del contratto
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Diritto privato

Se andiamo ad esaminare la disciplina che il legislatore detta nel Codice civile, ci rendiamo conto che è una disciplina dettata esclusivamente per due tipi di conclusione del contratto, cioè il contratto tra persone assenti (cd. contratto a distanza) e la formazione progressiva del contratto.

Sappiamo infatti che nelle ipotesi dei contratti per adesione e dei contratti a prelievo automatico, la fase di formazione del contratto manca, e che queste ipotesi sono ormai oggi largamente preponderanti, in ragione dell'esistenza dell'esigenza di accelerare i traffici e quindi assicurare l'acquisizione di beni nel modo più spedito possibile.

La formazione del contratto riguarda essenzialmente i casi di formazione progressiva, dove il contratto comporta un impegno più gravoso per le parti e dove incombe l'onere di valutare adeguatamente i pro e i contro prima di addivenire all'accordo, e i casi di contratti conclusi a distanza.

Proprio in quest'ottica, la formazione progressiva del contratto generalmente avviene o attraverso la fase delle cd. trattative (le parti stilano un certo programma di massima e poi pian piano raggiungono l'accordo globale su tutti i punti) oppure attraverso uno scambio di proposte e accettazioni parziali e incomplete (che si atteggiano come nuove proposte che a loro volta richiedono nuove accettazioni).

La fase precontrattuale è importante soprattutto per due ordini di motivi: innanzitutto, perché il legislatore impone a tutti i contraenti l'obbligo di correttezza, e in secondo luogo perché è proprio questa la fase più delicata, da cui scaturisce il contenuto delle clausole del contratto e quindi l'aspetto impegnativo (cui ciascuna delle parti intende sottostare successivamente alla conclusione, ossia al perfezionamento dell'accordo).

Proposta e accettazione

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Il legislatore prevede due atti tipici nella fase di formazione del contratto: si parla di proposta e accettazione come atti che solitamente vengono utilizzati per addivenire alla conclusione del contratto.

La proposta è essenzialmente un atto giuridico di per sé revocabile, unilaterale e recettizio, perché deve essere portato a conoscenza del destinatario. Deve anche avere dei caratteri ben precisi: deve rivestire una certa forma (se il contratto cui è preordinata è un contratto formale), deve avere il requisito della completezza (indicando tutte le clausole del contratto futuro), e deve essere anche espressiva di una volontà non definitiva, perché la caratteristica tipica della proposta è la sua mancanza di vincolatività. Il proponente può sempre revocare la proposta, fino al momento in cui l'altra parte non porti a sua conoscenza l'accettazione del contenuto propositivo.

L'accettazione è anch'essa un atto giuridico non vincolante (cioè suscettibile di revoca), ma deve soprattutto essere conforme in tutto e per tutto alla proposta, rivestire perfino la stessa forma, e per di più essere tempestiva (giungere al proponente nel termine indicato nella proposta stessa).

Natura giuridica di proposta e accettazione

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Secondo taluni Autori, proposta e accettazione hanno natura giuridica di atti in senso stretto, cioè di atti che per loro natura non sono vincolanti in considerazione della loro essenziale revocabilità, ma soprattutto in considerazione della loro caducità.

La proposta infatti cade e diviene inefficace se il proponente nel frattempo muoia o divenga incapace, a meno che non si tratti di proposta formulata nell'esercizio di un'impresa commerciale, perché in tal caso la proposta si "spersonalizza".

La tesi dell'atto giuridico in senso stretto viene però contestata da coloro i quali affermano che la proposta non può considerarsi del tutto priva di un contenuto negoziale impegnativo, poiché contiene il nucleo del futuro contratto, nucleo che (se accettato dalla controparte) diventerà il contenuto dell'impegno contrattuale. In altri termini, è vero che la proposta è essenzialmente caducabile e revocabile, ma è anche vero che essa (una volta confluita nel contratto, in quanto accettata dalla controparte) ha un contenuto negoziale.

L'equivoco, in cui cadono i sostenitori di quest'ultima teoria, risiede nel fatto che la proposta è considerata come atto fondamentalmente dinamico, un atto che ha una sua destinazione (confluire nel contratto). Ma si tratta di un dinamismo provvisorio, e la destinazione non è sicura fintanto che il proponente attende la conferma proveniente dall'accettazione.

Dottrina autorevole (benché di vecchia data) sostiene pertanto che proposta e accettazione sono atti prenegoziali, ossia atti non vincolanti fino al momento della conclusione del contratto, ma vincolanti e impegnativi solo dopo che sono confluiti nel contenuto dell'atto di autonomia privata.

La conoscenza dell'accettazione

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Il sistema di perfezionamento del contratto avviene attraverso la coincidenza di proposta e accettazione: il legislatore ha qui inteso utilizzare un principio che si fonda sull'id quod plerumque accidit, cioè non quello della conoscenza effettiva dell'accettazione da parte del proponente, ma quello della presunzione di conoscenza allorché l'accettazione giunga al domicilio del proponente.

Se il proponente vorrà far valere il fatto di non aver avuto conoscenza (in quel momento e in quel luogo, cioè nel suo domicilio), dovrà provarlo in giudizio.

L'accettazione per facta concludentia

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Il legislatore, all'art. 1327 del Codice civile [2], prevede anche l'ipotesi in cui il contratto si perfeziona nel momento in cui il destinatario della proposta, una volta ricevuta la stessa ed avendone appreso il contenuto, le dia immediatamente esecuzione. Questa è l'ipotesi dell'accettazione per facta concludentia, che però espone l'accettante al rischio che nel frattempo il proponente abbia inviato la revoca della sua proposta. In questo caso, il legislatore si preoccupa di tutelare la buona fede dell'accettante, e lo fa dicendo che il contratto deve considerarsi come non concluso; a questa mancata conclusione, il legislatore ricollega (proprio in considerazione della buona fede dell'accettante) un indennizzo a carico del proponente. Questa è un'ipotesi di responsabilità da atto lecito, perché da un lato il proponente poteva revocare legittimamente, ma dall'altro occorre contemperare gli opposti interessi dell'accettante, che potrebbe aver subito dei pregiudizi determinati da spostamenti patrimoniali ingiustificati (che vanno indennizzati).
È bene precisare che questa accettazione per facta concludentia:

  1. non è un caso di portata generale, ma è ammessa quando il proponente l'ha previamente autorizzata, o quando sia prevista dalle leggi o dai normali traffici giuridici in quel settore, in considerazione anche dei rapporti commerciali esistenti tra le parti;
  2. va tenuta distinta da quei casi eterogenei che vengono raggruppati sotto il nome di comportamento concludente, quest'ultimo essendo un problema più di forma della dichiarazione che di contenuto della volontà negoziale.

L'accettazione tardiva

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Se l'accettante invia tardivamente la sua adesione al proponente, per logica il contratto non dovrebbe considerarsi concluso.
Tuttavia, il legislatore, al comma 3 dell'art. 1326 prevede che il proponente possa ugualmente considerare come tempestiva l'accettazione tardiva, dandone immediato avviso all'accettante. In questo caso, la legge pone una conseguenza al mancato avviso: in caso di mancato tempestivo avviso, il proponente sarà responsabile nei confronti dell'accettante.
Il tipo di responsabilità in cui incorre il proponente è un problema assai discusso. Se ci atteniamo alla lettera della norma, ci rendiamo conto che in realtà basterebbe a perfezionare il contratto la sola dichiarazione di ritenere tempestiva l'accettazione e l'avviso sembrerebbe un mero obbligo a carico del proponente, obbligo che può comportare al più il risarcimento dei danni (questa è l'opinione corrente in giurisprudenza).
Secondo la dottrina, invece, l'avviso non sarebbe un obbligo ma un onere, perché dalla lettera della norma emergerebbe che non basta che il proponente dichiari o ritenga tempestiva quell'accettazione, se poi non comunica questa sua volontà all'altra parte. Quindi, la comunicazione sarebbe elemento integrativo della fattispecie perfezionativa del contratto, e il mancato tempestivo avviso non determinerebbe l'obbligo di risarcimento del danno, ma determinerebbe invece la mancata conclusione del contratto.

La proposta irrevocabile e l'opzione

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Nel contesto della formazione del contratto, il legislatore ha predisposto una serie di strumenti per consentire alle parti di ovviare (soprattutto con riferimento alla proposta) al principio di caducità e revocabilità, attraverso la previsione di veri e propri vincoli che le parti possono autoimporsi nella fase di formazione del contratto.[3] Sono dei vincoli che possono avere sia natura unilaterale che bilaterale, e rispondono alle figure della proposta irrevocabile e dell'opzione.
Per effetto di questi auto-vincoli, gratuiti o onerosi a seconda della scelta delle parti, il proponente perde il potere revocare e l'oblato (destinatario della proposta o dell'opzione) acquista il diritto potestativo di accettare, facendo perfezionare il contratto.
Il meccanismo funzionale previsto dal Codice civile fa sì che una eventuale revoca della proposta resti un atto inefficace: l'accettazione da parte dell'oblato perfeziona senz'altro il contratto, nonostante una revoca manifestata dal proponente.
La proposta irrevocabile e l'opzione hanno dunque identico profilo effettuale: una differenza tra le due figure sorge dal punto di vista strutturale, perché la proposta irrevocabile (detta anche "proposta ferma") ha pur sempre valenza unilaterale (dismettere il potere di revoca per un certo periodo di tempo), mentre l'opzione[4] è frutto di un accordo ed ha natura convenzionale. Ci si è chiesti perché il legislatore avesse previsto sia l'una che l'altra figura in questione, quando entrambe mirano alla dismissione (temporanea) del potere di revoca da parte del proponente. La risposta comunemente data al quesito riguarda il cd. premio, previsto a favore del proponente quando pattuisce un'opzione: il premio è una sorta di "corrispettivo" che va a compensare la rinuncia (temporanea) al potere di revoca. In virtù di questo schema, alcuni Autori hanno ravvisato nell'opzione un contratto a prestazioni corrispettive.

Altre differenze tra proposta irrevocabile e opzione:

  • a differenza dell'opzione dove è palese l'accordo teso a privare il proponente del potere di revoca, nella proposta irrevocabile la rinuncia al diritto di revoca deve essere espressa con una dichiarazione inequivocabile;
  • la proposta irrevocabile deve contenere un termine di durata del vincolo, cioè un termine alla scadenza del quale la proposta diventa operativa ed efficace, trattandosi di una vistosa limitazione al potere di disposizione dei soggetti. Per tale ragione, la disciplina della proposta irrevocabile è assimilata agli stessi termini di durata dei cd. patti di incedibilità, ossia i divieti convenzionali di alienazione, che per legge hanno durata limitata nel tempo. Questo aspetto è essenziale, perché se nella proposta irrevocabile non è indicato il termine, essa si caduca (e il termine non può essere fissato dal giudice in mancanza di previsione delle parti);
  • il vincolo derivante dall'opzione (ma non dalla proposta irrevocabile, che ha natura unilaterale) può essere sciolto per mutuo dissenso, facoltà delle parti insita nella natura contrattuale del vincolo.

Nonostante la proposta irrevocabile e l'opzione comportino una rinuncia al diritto potestativo di revoca, quid iuris nell'ipotesi in cui il proponente-rinunciante aliena il bene ad un terzo?

Si ritiene in giurisprudenza che l'alienazione (l'atto di disposizione del bene nonostante la rinuncia) si atteggi come revoca tacita della proposta e dell'opzione e che quindi -come tale- non abbia alcun effetto nei confronti della controparte, la quale può regolarmente accettare e perfezionare il contratto.
Se però dalla revoca tacita derivano conseguenze pregiudizievoli per l'oblato, bisogna distinguere:

  1. se si tratta di beni mobili, il terzo acquirente in buona fede può rendere inattaccabile il suo acquisto a domino conseguendo il possesso del bene, applicandosi in tal caso la norma dell'art. 1155 del Codice civile;
  2. se si tratta di beni immobili, il terzo (per rendere stabile il suo acquisto) deve trascrivere il contratto prima che intervenga la trascrizione da parte dell'oblato che nel frattempo abbia accettato la proposta.

In entrambi i casi, l'oblato subirà un danno e la responsabilità (precontrattuale) che indubbiamente grava a carico del proponente scorretto si risolve in un obbligo di risarcimento.
Alcuni Autori ritengono che si tratti invece di responsabilità contrattuale, perché il proponente ha violato un obbligo nascente da un rapporto giuridico pregresso, che ha creato un vincolo tra le parti. Aderendo a questa tesi, si pone un problema di entità del danno, ma la giurisprudenza risolve la questione nel senso che riconosce un danno commisurato all'interesse contrattuale negativo.

Il patto di prelazione

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Il patto di prelazione è una figura di elaborazione dottrinale e giurisprudenziale: il legislatore infatti non prevede una figura generale di prelazione convenzionale, ma prevede solo quella della prelazione legale che ha tutt'altra natura, tutt'altra disciplina, tutt'altri effetti rispetto alla prelazione convenzionale.
La prelazione legale la ritroviamo nell'ambito della materia successoria (comunione ereditaria), dove è previsto il diritto di riscatto a favore dei coeredi quando uno di essi abbia alienato il proprio diritto a favore di terzi (ma il diritto di riscatto è previsto pure nell'ambito dell'impresa familiare, quando vi sia alienazione di beni).
La disciplina della prelazione convenzionale è stata elaborata dalla dottrina e giurisprudenza prendendo come termini di riferimento la figura del contratto di somministrazione, utilizzando in particolare la disciplina della cd. clausola di preferenza (o clausola di insistenza).
La prelazione convenzionale si differenzia da quella legale principalmente in ordine al titolo: la prima nasce da contratto, la seconda nasce dalla legge. Il contratto, peraltro, presenta delle caratteristiche particolari, perché con esso una parte accorda la preferenza ad un altro soggetto, stabilendo di comunicare ad esso la propria decisione di alienare un proprio diritto.
Il soggetto interpellato dovrà poi provvedere, entro un congruo termine a far sapere se intende concludere il contratto oppure lasciar cadere la preferenza.

La violazione dell'obbligo di comunicazione

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La conseguenza della violazione dell'obbligo di comunicazione è stato un problema che a lungo ha tormentato la dottrina e la giurisprudenza. Infatti, tutto dipende da come si inquadra questo patto di prelazione.
L'orientamento risalente agli anni '70 riteneva che nel patto di prelazione doveva intravvedersi un vero e proprio contratto preliminare unilaterale, dove un soggetto si obbligava nei confronti dell'altro a concludere un certo accordo nell'eventualità che si decidesse a disporre del proprio diritto: in tal caso, avrebbe comunicato all'altra parte la sua intenzione di disporre del diritto, accordandole preferenza. Questo preliminare unilaterale doveva perciò considerarsi sottoposto a condizione sospensiva.
Si diceva anche che attraverso la comunicazione (ossia attraverso l'adempimento dell'obbligo di denunciatio) il soggetto in questione formulava una vera e propria proposta contrattuale, proposta da ritenersi "adempitiva" dell'obbligo nascente dal preliminare unilaterale e -nello stesso tempo- "evento" della condizione apposta allo stesso: l'altro soggetto, dichiarando di accettare, perfezionava così il contratto.
Questa ricostruzione era stata elaborata soprattutto per assicurare una più energica tutela al soggetto preferito: utilizzando lo schema del preliminare sia pure unilaterale, infatti, si diceva che il prelazionario inadempiente (che ometteva la comunicazione e faceva una proposta contrattuale ad altri o stipulava un preliminare con un terzo) poteva far scattare da parte dell'oblato il ricorso all'azione costitutiva ex art. 2932 cod. civ.
La dottrina e la giurisprudenza più recenti hanno evidenziato non solo l'incompatibilità della suddetta ricostruzione con i principi generali, ma hanno anche denunciato come questa ricostruzione non potesse servire all'applicazione dell'art. 2932 cit.

L'incongruità della tesi più antica rispetto ai principi generali nasceva dal fatto che il patto di prelazione doveva considerarsi un obbligo sottoposto a condizione sospensiva: ma può considerarsi sottoposto a condizione un obbligo che costituisce il contenuto del contratto? Si può condizionare (e quindi rendere incerto a livello di autonomia negoziale) quello che è invece un preciso obbligo contrattuale?
Generalmente, la risposta a tali questioni era negativa, e in più si affermava che questo tipo di condizione era meramente potestativa, perché era quasi come dire «ti darò preferenza se vorrò», facendo venire in rilievo il profilo dell'assoluta discrezionalità, anzi dell'arbitrio.
Proprio questi due aspetti indussero la dottrina e la giurisprudenza degli anni '80 a mutare l'impostazione della figura, anche perché la cosiddetta tutela in forma specifica non si poteva assolutamente accordare all'oblato nel caso che il prelazionario alienasse il proprio diritto ad un terzo. Qui, l'azione ex art. 2932 cod. civ. era esclusa a priori, in quanto (come sancisce la stessa norma) il giudice può adottare la sentenza costitutiva che tenga luogo del contratto non concluso soltanto "se possibile": se il contratto con il terzo è già stato concluso, è chiaro che questa possibilità giuridica non esiste.

  1. L'art. 1326 del Codice civile si intitola Dell'accordo delle parti e sancisce che:
    1. Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell'accettazione dell'altra parte.
    2. L'accettazione deve giungere al proponente nel termine da lui stabilito o in quello ordinariamente necessario secondo la natura dell'affare o secondo gli usi.
    3. Il proponente può ritenere efficace l'accettazione tardiva, purché ne dia immediatamente avviso all'altra parte.
    4. Qualora il proponente richieda per l'accettazione una forma determinata, l'accettazione non ha effetto se è data in forma diversa.
    5. Un'accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova proposta.
  2. Art. 1327. Esecuzione prima della risposta dell'accettante.
    1. Qualora, su richiesta del proponente o per la natura dell'affare o secondo gli usi, la prestazione debba eseguirsi senza una preventiva risposta il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l'esecuzione.
    2. L'accettante deve dare prontamente avviso all'altra parte dell'iniziata esecuzione e, in mancanza, è tenuto al risarcimento del danno.
  3. L'art. 1329 così disciplina la Proposta irrevocabile:
    1. «Se il proponente si è obbligato a mantenere ferma la proposta per un certo tempo, la revoca è senza effetto.»
    2. «Nell'ipotesi prevista dal comma precedente, la morte o la sopravvenuta incapacità del proponente non toglie efficacia alla proposta, salvo che la natura dell'affare o altre circostanze escludano tale efficacia»
  4. L'art. 1331 così dispone:
    1. «Quando le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione e l'altra abbia facoltà di accettarla o meno, la dichiarazione della prima si considera quale proposta irrevocabile per gli effetti previsti dall'articolo 1329.»
    2. «Se per l'accettazione non è stato fissato un termine, questo può essere stabilito dal giudice»