Coniugazione dei verbi italiani - università

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Coniugazione dei verbi italiani - università
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Grammatica italiana - università

Premesse

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Il nostro obiettivo in queste pagine è di dare un fondamento quanto più rigoroso ci sarà possibile ai concetti e ai metodi per la declinazione e l'analisi dei verbi.
Il materiale che presentiamo deriva dal lavoro fatto per costruire un Declinatore ed Analizzatore di Verbi, che ha richiesto la sistemazione di un grande corpus di conoscenze sull'argomento, e includerà alcuni contributi originali. L'Analizzatore e Coniugatore è disponibile per l'utilizzo gratuito al sito DIC_IT: il Verbiario: qui spiegheremo la teoria che è alla base di questo sviluppo, e metteremo i rimandi al sito quando necessari per illustrare alcuni esempi.
L'impostazione generale è sostanzialmente formale, nel senso che ci siamo posti l'obiettivo di sviluppare una teoria coerente ed adatta ad essere trasformata in un programma per computer. Metteremo in risalto dove questo indirizzo ci ha portati ad allontanarci da alcune tradizioni grammaticali. Anche, non escludiamo che su alcune delle scelte che abbiamo fatto ci possano essere opinioni differenti, se non opposte: cercheremo di mettere anche questi punti in evidenza, e saremo lieti di ricevere i vostri commenti.
Vogliamo ricordare che la lingua è non solo assai complessa, ma anche flessible e in continua evoluzione (oltre che oggetto spesso di abusi, talvolta assai efficaci dal punto di vista letterario): ricondurla ad uno schema, per quanto articolato, sufficientemente completo e coerente da poterne derivare un algoritmo per un calcolatore è un compito arduo, che non ci illudiamo di avere completamente risolto. I casi in cui questo obiettivo non è stato raggiunto verranno anche essi messi in opportuna evidenza. Lo sforzo che facciamo è di cercare di dare quanto più è possibile, o quanto meglio siamo capaci, una struttura formale coerente alla questione della declinazione ed analisi dei verbi, senza nasconderci che, a differenza di altre discipline, la lingua ha caratteri soggettivi ineliminabili.
In questo lavoro presupporremo che gli eventuali Lettori abbiano una conoscenza della grammatica di base, per cui non definiremo nel dettaglio cosa siano i verbi difettivi, o i verbi modali, tanto per fare due esempi. Piuttosto ci concentreremo su quegli aspetti che sono rilevanti ai fini della coniugazione di un verbo e dell'analisi di una forma verbale.

Supporremo anche che i nostri eventuali Lettori abbiano una conoscenza dei concetti fondamentali relativi alle strutture di basi di dati relazionali (in inglese: relational database, abbreviato spesso in RDB), la maggior parte di quali potrete trovare alla pagina Relational Database.
Le questioni linguistiche si trattano formalmente con una maggiore facilità utilizzando il simbolismo delle Espressioni Regolari (o come sono più comunemente note, le Regular Espressions, generalmente abbreviate in RE): un argomento molto interessante, del quale potrete trovare tutti i rudimenti che vi serviranno per leggere questo lavoro alla pagina Regular expression.
Infine, e spero che vorrete scusarmi, il materiale verrà completato gradualmente: per ora abbiamo comunque indicato l'indice degli argomenti che vogliamo trattare, e progressivamente lo completeremo.

Convenzioni

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Indicheremo le formule RE con un carattere corsivo, come per esempio [a-z] per indicare tutte le lettere minuscole dell'alfabeto.
Metteremo tra parentesi ad angolo le voci verbali, o genericamente le stringhe alfabetiche, di cui stiamo parlando, per esempio così: <amare>. Se la stringa non esiste nella lingua Italiana, la faremo precedere da un asterisco, così: <*spegnuto>.
In grassetto indicheremo le stringhe che rappresentano verbi quando avremo la necessità di considerare l'insieme di concetti che viene sotteso da tale verbo: ad esempio, scrivere rappresenta tutto l'insieme di concetti che si forma nella nostra mente al sentire, leggere, pensare o pronunciare questa parola, mentre <scrivere> rappresenta il Modo Infinito Tempo Presente del verbo scrivere.
Quando introdurremo un termine con una definizione formale, lo scriveremo in LETTERE MAIUSCOLE. Nell'uso successivo per non appesantire la grafica lo useremo con solo le iniziali maiuscole.

Definizioni

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Convenzionalmente, chiameremo verbi le parole che in una determinata lingua vengono usate per esprimere azioni. Incidentalmente vogliamo far osservare che spesso si esprime il concetto esattamente opposto, si dice cioè che i verbi esprimono azioni: purtroppo questo modo di impostare il concetto soffre di molti problemi, il primo essendo che richiede una definizione a priori di verbo, per cui non lo adotteremo.
Per amore di precisione, diremo che un VERBO altro non è che la classe di equivalenza dei concetti esprimenti una determinata azione e supposti noti ai parlanti. In altre parole, riunendo tutte le sfumature e varietà di una determinata azione in un insieme, il Verbo è l'elemento ad un livello di astrazione superiore che rappresenta tale insieme. Per ulteriori informazioni sulle classi di equivalenza potete consultare Equivalence Class.
Occorre dare un nome a tali insiemi, nome che potrebbe assai utilmente essere puramente convenzionale come per esempio un codice numerico progressivo. Noi, come è d'uso, useremo la voce verbale al Modo Infinito Tempo Presente per rappresentare tale classe di equivalenza. Speghiamoci con un esempio: la classe di equivalenza dei concetti {(scrivere una cartolina), (scrivere le tavolette diargilla), (scrivere una e-mail), (fare un graffito metropolitano)}, e molti altri accomunati dal fatto di descrivere il tracciare segni convenzionali su un medium adatto alla conservazione e circolazione di tali sequenze di segni, verrà indicata con il nome scrivere. Alternativamente questa classe di equivalenza avrebbe potuto essere rappresentata da un codice, per esempio <001>, essendo questo il primo verbo che abbiamo incontrato.
Mentre non vi sono dubbi, per il modo in cui un Verbo viene costruito, in merito all'esistenza di tale classe di equivalenza, vi sono almeno due fattori che ne mettono in crisi l'unicità. Il primo è l'ampiezza della classe di equivalenza che definisce il Verbo: il mettere la firma su un quadro, per esempio, appartiene alla classe del verbo scrivere o del verbo dipingere? E se su questo la risposta vi sembra ovvia, che dire delle scritte che compaiono nelle moschee, che assolvono al duplice scopo di essere decorative come una pittura e di ricordare ai fedeli le massime religiose? O della firma autografa di una persona, con le sue valenze di espressione caratteriale, informative e legali? Il secondo punto riguarda i sinonimi: mentre un principio di economia richiederebbe che non vi fossero parole diverse per indicare lo stesso concetto, è chiaro che, spesso per motivi storici e culturali, non è così. Un esempio è il verbo abbacchiare che mi sembra sia perfettamente sostituibile con demoralizzare: il primo è probabilmente derivato da una forma locale tipica delle aree geografiche in cui si coltivano gli agnelli e si cucina l'abbacchio, ma è ormai entrato nell'uso comune tanto da essere correntemente usato e compreso anche da parlanti di altre regioni geografiche, tanto che lo possiamo considerare a pieno titolo un verbo della lingua Italiana. Formalmente possiamo allora dire che:
a. esistono ampie sovrapposizioni tra classi di equivalenza che hanno nomi differenti,
b. la stessa classe di equivalenza può avere nomi diversi.
Nessuno dei due mi sembra un vero problema, ma è bene averlo presente.

Il secondo concetto che introduciamo è quello di VOCE VERBALE: per descrivere chi ha compiuto l'azione, il modo e le finalità per cui si esprime l'azione (l'azione ha avuto luogo, potrebbe o dovrebbe avere luogo, o sarà fatta, etc.), il momento in cui tale azione è stata compiuta (ora, mentre ne parliamo, o precedentemente, o avverrà nel futuro) e altri elementi di significato, è necessario modificare il verbo in modo opportuno. La Voce Verbale sarà dunque l'espressione del Verbo in un particolare contesto di significato, specificante per esempio chi compie l'azione, con quale valore di certezza, in quale tempo rispetto al tempo corrente (del parlante o dello scrivente dunque) e altri parametri dipendenti da lingua a lingua.
È chiaro che risulta conveniente avere delle regole quanto più è possibile standard per formare le Voci Verbali, di modo che ai parlanti sia immediatamente chiaro non solo di quale azione si tratta ma anche le sue altre valenze che abbiamo detto: tali regole le chiameremo REGOLE DI CONIUGAZIONE. In una Voce Verbale, la parte invariante ci ricorda a quale azione ci stiamo riferendo,mentre la parte variabile convoglia le altre informazioni (soggetto dell'azione, tempo in cui viene eseguita etc.). Chiamiamo la parte invariante TEMA del verbo e la parte variabile DESINENZA del verbo. Il Tema ricorre generalmente all'inizio della stringa alfabetica Voce Verbale, ma all'inizio dell'ultima parola se la Voce Verbale è composta da più parole: si considerino, in Italiano, le forme verbali composte con un ausiliario, come per esempio <avevo scritto> e <fosse stato scritto>. Per la Desinenza la situazione è opposta. La Desinenza che conta, cioè quella che ci indica di quale coniugazione si tratta, invece, compare o alla fine della Voce Verbale nel caso questa sia composta da una sola parola, o alla fine della prima parola nelle Voci Verbali composte da più parole: si vedano gli esempi detti. Le Desinenze delle altre parole della Voce Verbale composta di più parole sono costanti e non convogliano di fatto alcun significato.
Un fenomeno analogo, anche se un poco più complesso concettualmente, appare nelle forme modali, come in <vorrei scrivere>.
È utile allo Studioso avere un riferimento generale e sintetico di tali desinenze, come le note tavole di coniugazione dei verbi regolari presenti in tutti i libri di grammatica: esse ci permettono di capire il legame tra desinenza e tempi e modi delle coniugazioni, ma ci sono di poco aiuto nel problema opposto, ovvero di coniugare correttamente un verbo, poiché in italiano sono numerosissimi i verbi che presentano qualche forma di irregolarità. Noi non faremo distinzione tra coniugazioni regolari ed irregolari, ci è sufficiente sapere che possiamo scrivere delle regole che vanno nella direzione di permetterci di coniugare ogni verbo. Tutti conosciamo intuitivamente tali regole e le usiamo correntemente e correttamente, il fatto che occuperebbero molte pagine di un libro di grammatica è solo un fatto accidentale.
Le Regole di Coniugazione non solo ci dicono come modificare eventualmente il tema del verbo (per i verbi irregolari), quali desinenze aggiungere per formare i diversi Modi e Tempi delle coniugazioni, e quali coniugazioni non possono essere fatte (per i verbi difettivi), ma anche quali Ausiliari devono essere usati, e in quale forma, per fare i tempi composti e le forme diverse da quella Attiva. Per i nostri scopi, le Regole di Coniugazione sono tutte le regole che ci servono per coniugare qualunque verbo (almeno idealmente) in qualunque Forma, Modo e Tempo ammissibile per quel verbo.
Detto tutto ciò, torniamo al nome da dare alle diverse classi di equivalenza che abbiamo chiamato Verbi: il fatto di usare, tradizionalmente, una stringa alfabetica nota ha il vantaggio di ricordarci immediatamente di quale verbo si tratti, ma anche il rischi di ingenerare un poco di confusione dal punto di vista formale. Infatti, ad esempio una stringa quale <scrivere> viene ad avere due valenze concettualmente distinte:

  • A. quella di Verbo, rappresentando la classe di equivalenza dei concetti {(scrivere una cartolina), (scrivere le tavolette diargilla),

etc.}, e cioè il verbo scrivere;

  • B. quella di Voce Verbale, rappresentando il Modo Infinito Tempo Presente di tale Verbo.


I Verbi

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Le questioni sulle quali vogliamo riflettere in apertura di questo lavoro sono principalmente le seguenti:
1. quando possiamo dire che un verbo esiste,
2. e strettamente collegato al punto precedente, quando due verbi sono diversi;
3. quali fattori sono rilevanti per la coniugazione e l'analisi dei verbi;
4. quali verbi dovremmo inserire in un elenco di verbi e come gestire i neologismi.

1. Esistenza

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Abbiamo due estremi: dal lato della maggiore ampiezza del concetto, potremmo dire che esistono tutti i verbi che sono stati usati da qualcuno parlante italiano. Generalmente i più completi e titolati dizionari si uniformano ad un concetto analogo a questo, restringendosi, per così dire, a considerare non i verbi usati almeno una volta da un qualunque parlante italiano (il che, da un punto di vista filosofico, ne determina la pura esistenza), ma quelli che sono stati scritti dai principali autori italiani dall'epoca dell'italiano volgare. All'altro estremo ci si potrebbe limitare ai verbi correntemente usati nell'epoca cui si riferirebbe l'eventuale dizionario: questo approccio è seguito per esempio dai corpora della lingua utilizzata in un certo periodo temporale e su un certo medium di comunicazione, per esempio il linguaggio televisivo negli anni 1960-1970.
Qualunque di queste scelte non è scevra di problemi: in primo luogo un tale elenco ideale non solo sarebbe molto lungo, ma anche tenderebbe a variare nel tempo. Questo è un problema, ma può essere, almeno dal punto di vista teorico, risolto: la coniugazione dei verbi è retta da regole fonomorfologiche, e se ad un verbo, anzi ad una stringa qualunque, si può attribuire un insieme di regole morfologiche, le declinazioni sono belle e fatte.
Ma quello che è più difficile da gestire è la questione della transitività dei verbi: <pentire> era un verbo transitivo ai tempi di Dante, oggi suona a dir poco antiquato usarlo in tale forma. Similmente alcuni verbi intransitivi diventano, almeno nel parlare comune, ma da lì vanno rapidamente nei testi scritti, transitivi, come <arrampicarsi> che si usa in modo transitivo in frasi come <domenica prossima, se il tempo è bello, arrampicherò>: brutta forma, ma colloquialmente usata.
Brevemente, noi adotteremo una soluzione che si colloca in qualche modo nel mezzo: diremo che esiste qualunque verbo che sia compreso dai parlanti di questa nostra epoca e per il quale si possano definire, non necessariamente in modo univoco, le regole di declinazione. Questa definizione, che rimane comunque molto generale, soddisfa due requisiti:
a. che il verbo abbia un valore semantico condiviso,
b. che possa essere usato, declinandolo, per esprimere diverse sfumature di significato.

2. Unicità dei Verbi

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La sola stringa alfabetica non è sufficiente a definire di quale Verbo si stia trattando: ad esempio la stringa <annegare> può significare sia il fatto di trovarsi in difficoltà sommersi da qualcosa, come in <annego nelle scartoffie>, sia il fatto di essere messi in tale situazione da un altro soggetto, come in <mi hanno annegato con le scartoffie>. Nel primo caso l'azione è pienamente descritta dal soggetto (eventualmente sottinteso) e dal verbo, nel secondo sono presenti un soggetto ed un complemento diretto distinti (il soggetto, nell'esempio detto, è impersonale, l'oggetto sono io). E riflettendo appunto questa differenza, le Regole di Declinazione sono assai differenti: consideriamo le frasi <sono annegato nelle scartoffie>, che è, anticipando questioni che discuteremo più avanti, una foma Attiva al modo Indicativo tempo Passato Prossimo, e (come potrebbe aver pensato il Capitano Ahab) <sono annegato dal mio eterno nemico!> che è una forma Passiva modo Indicativo tempo Presente.
Il problema è di maggiore importanza di quanto possa sembrare ad una prima vista. Una soluzione semplice sarebbe quella di considerare il verbo annegare come sia Transitivo, sia Intransitivo (cioè come Ambitransitivo), ma questa soluzione non è in generale completamente soddisfacente, poiché nelle due transitività il verbo esprime due concetti molto differenti, come sa bene chi non sa nuotare! Se avessimo adottato una rappresentazione arbitraria per i nomi dei Verbi, li avremmo potuti chiamare rispettivamente verbo <002> e verbo <003>, senza timore di confusione (seppure con la grave scomodità di doverci ricordare a quale concetto corrisponde quale numero...).
E mentre il verbo annegare tratta di concetti molto simili (sempre di difficoltà di fronte a qualche cosa che sommerge), vi sono casi in cui la differenza è molto più netta. Consideriamo ad esempio la stringa <brillare> che rappresenta sia il verbo Transitivo brillare come in <il riso viene brillato per aumentarne la conservabilità>, sia il verbo Intransitivo brillare come in <le stelle brillano in cielo>, sia infine il verbo Transitivo brillare come in <oggi abbiamo brillato le mine per fare il nuovo tunnel>. Considerare la stringa <brillare> come se fosse un unico verbo Ambitransitivo non è affatto corretto: si riferisce piuttosto a tre verbi riferentesi a tre classi di concetti completamente separate.
Nel linguaggio dei database, da quanto detto risulta che la chiave unica che identifica un verbo è data da due valori:
1. la stringa che usiamo per il nome del verbo,
*2. la sua classe semantica.

Nel caso specifico, ipotizzando tre classi semantiche appropriate per i nostri esempi, abbiamo tre verbi così definiti:
<004> = (<brillare>, <classe semantica 1, afferente alla luminosità o lucentezza>)
<005> = (<brillare>, <classe semantica 2, afferente al trattamento delle risorse alimentari>)
<006> = (<brillare>, <classe semantica 3, afferente all'uso degli esplosivi>)

Il verbo brillare intransitivo, cioè il verbo <004>, ha regole di coniugazione che complessivamente differiscono da quelle dei verbi <005> e <006>, entrambi transitivi. I verbi <005> e <006> invece, essendo entrambi transitivi, pur afferendo a due classi semantiche ben distinte ed essendo chiaramente discernibili dai parlanti italiano, condividono esattamente le stesse stringhe alfabetiche per rappresentare le diverse voci di coniugazione dei due verbi.

In altre parole, le regole per coniugare il verbo <005> e quelle necessarie per coniugare il verbo <006> sono esattamente le stesse, e la differenza tra i due verbi, differenza che è reale e concreta, o è identificabile dal contesto, oppure è nella mente di chi parla e/o di chi ascolta. Se la forma verbale viene citata al di fuori di un qualunque contesto si generano incertezze ineliminabili: chi sentisse i suoni associati alla stringa <è brillato> non avrà affatto chiaro se si tratti del verbo <005> o del verbo <006>. Limitandoci a trattare dell'aspetto formale della coniugazione di un verbo e della sua analisi, la scelta che abbiamo fatto è di considerare come diversi due verbi che differiscano in quanto a transitività. Una chiave unica assai appropriata per identificare i verbi viene dunque ad essere:
+1. la stringa che usiamo per il nome del verbo,
+2. la sua proprieta di transitività.

Abbiamo quindi un verbo
<002> = (<annegare>, <transitivo>)
ed un verbo
<003> = (<annegare>, <intransitivo>),
come abbiamo un verbo
<004> = (<brillare>, <transitivo>)
e, saltando un po' in là con la numerazione, un verbo
<056> = (<brillare>, <intransitivo>)
che ha due significati diversi, i quali coincidono nella forma di tutte le loro voci verbali.

3. Fattori Rilevanti per la Coniugazione

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Risulta che i due parametri detti, ovvero la stringa alfabetica e la proprietà di transitività, sono sufficienti a definire l'insieme di regole da usare per coniugare un verbo. La stringa ci serve, infatti, per generare tutte le forme verbali semplici (che definiamo, per il momento, essere quelle composte da una sola parola), la transitività per sapere quale ausiliare utilizzare per le forme composte (per il momento, chiameremo composte quelle che hanno più di una parola).

4. Elenco di Verbi e Neologismi

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Certamente, il valore di una base dati consiste nella sua ampiezza, ma i verbi sono numerosissimi, e ne nascono di nuovi, spesso mutuati dalle lingue straniere: qualunque elenco di verbi non potrà mai essere definitivamente completo. Neppure il nostro è completo, anche se con circa 8000 verbi lo possiamo considerare discretamente ampio.
Quello che invece deve essere completo è l'elenco delle Regole di Coniugazione, e questo è un obiettivo assai più raggiungibile. La prima domanda che sorge alla mente è la seguente: non sarebbe possibile che, come vengono introdotti in una lingua nuovi verbi, vengano anche introdotte nuove regole di coniugazione?
Certo, con le lingue tutto è possibile, ma in realtà le forme di coniugazione variano molto lentamente nelle lingue, molto più lentamente di quanto varii il lessico. In Italiano, le forme irregolari di coniugazione derivano dal latino, mentre i verbi di introduzione più recente sono generalmente regolari. Anzi, i verbi più recenti sono generalmente della I Declinazione, la classe di verbi largamente più numerosa. Precisiamo questi concetti con alcuni numeri. Nel database che viene interrogato al sito DIC_IT: il Verbiario vi sono circa 8000 verbi diversi. Di questi, circa 6200 appartengono alla I Declinazione, circa 800 alla II Declinazione e altrettanti alla III Declinazione. I verbi della II e III Declinazione rapppresentano quindi circa il 20% del totale dei verbi, e sono assai frequentemente irregolari nella declinazione, mentre i verbi della I Declinazione, salvo <dare>, <andare> e <stare>, sono tutti regolari.
Tentiamo un confronto quantitativo. Poco più di 400 regole permettono di coniugare tutti i verbi della I Declinazione, che rappresentano circa l'80% dei verbi Italiani, ma ne servono ben più di 2000 per i verbi della II Declinazione, che sono solo il 10% dei verbi. Per usare un metro di misura e fare dei confronti, i verbi della I Declinazione necessitano mediamente di 0.07 regole per verbo, quelli della II Declinazione necessitano di ben 2.5 regole per verbo! Le 600 regole necessarie per i verbi della III Declinazione, il 10% dei verbi Italiani, collocano questo gruppo di verbi nel mezzo, con una media di 0.75 regole ogni verbo.
Come in tutte le lingue, anche in Italiano si ha una generale tendenza alla semplificazione, sia fonetica sia morfologica, e alla standardizzazione. Forme difficili da pronunciare causa l'articolazione complessa dell'apparato vocale vengono nel tempo sostituite da forme più facili da pronunciare. Un esempio per tutti <spengere>, sostituito in tempi piuttosto recenti con <spegnere>: provate a pronunciare le due parole ad alta voce e vi accorgerete di quali siano le differenza di articolazione e come il secondo sia più scorrevole del primo. La forma antica convive però con quella moderna nella declinazione del verbo: <spengo> e <spegnerò>, ad esempio. Il motivo è appunto ancora quello della facilità di articolazione: <spengo> è più semplice da pronunciare di <*spegno>, mentre <spegnerò> è più semplice da pronunciare della forma arcaica <*spengerò>.

Queste sono regole fonomorfologiche: la forma di una voce verbale dipende da questioni legate all'emissione dei suoi, e le Regole di Coniugazione cercano di catturare anche tali regole.
I verbi nuovi introdotti in una lingua, dicevamo, non solo sono della I Declinazione, ma sono anche regolari. Verbi come <scotchare>, per indicare che si attacca del nastro adesivo su qualche cosa, o <guglare>, o talvolta in forma etimologicamente più corretta <googlare>, per indicare che si fa una ricerca su Google, per quanto strani nella forma (il gruppo <tch> non appartiene all'Italiano) o recenti nell'adozione (credo che Google abbia compiuto 11 anni proprio recentemente), vengono coniugati in modo assolutamente regolare. Rimangono da risolvere talvolta i problemi di scrittura: pensate appunto a come scrivere il modo Indicativo tempo Presente di <scotchare>, per dirne uno. Tanto che forse converrebbe adottare forme più italianizzate, come <scocciare>, ma creando così, in questo caso, seri problemi di ambiguità semantica, ma questo è un altro problema.
Comunque sia, questi fatti rappresentano una bella semplificazione al problema di disporre di un insieme di regole di coniugazione completo. Intanto, stringhe alfabetiche simili si coniugano in modi simili, poi, le stringhe alfabetiche di nuova introduzione tendono ad uniformarsi alle regole di coniugazione delle stringhe già esistenti, infine, i neologismi hanno generalmente coniugazioni regolari.
Diventa così possibile coniugare sia verbi noti che verbi nuovi e sconosciuti, o addirittura inesistenti: basta che si conformino a quei parametri che ci fanno dire che una parola è, o potrebbe essere, un verbo. Se visitate il sito DIC_IT: il Verbiario, potrete andare su due pagine: alla pagina DIC_IT: il Verbiario Coniugazione potete coniugare un verbo già presente nel database, mentre alla pagina DIC_IT: il Verbiario Coniugazione dei Neologismi potete coniugare quasi qualunque verbo. Ma la stringa alfabetica appropriata non basta: come abbiamo visto occorre anche specificare le proprietà di transitività del verbo prima di poter procedere alla sua coniugazione, e nel caso dei neologismi questo viene generalmente fatto sulla base dell'azione che il verbo rappresenta: <scotchare> è chiaramente Transitivo, così come <guglare>. Nel caso dei verbi che per vostro divertimento vorrete inventarvi per mettere alla prova un Coniugatore automatico, potrete scegliere liberamente: attenzione però che per fare le forme passive occorre che il verbo non difetti del Participio Passato, e se il verbo che vi siete inventati fosse imparentato foneticamente con un verbo difettivo nel Participio Passato, questo potrebbe succedere e non sarebbero possibili né le forme attive composte né tutte le forme passive.

La Classificazione Formale dei Verbi

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Ci sono molti modi di classificare i Verbi, e tutti questi sono, sostanzialmente, arbitrari. Le classificazioni si riferiscono in genere ad un aspetto particolare del verbo: il suo significato, la sua origine storica, ed altri, ma questa libertà è scelta in modo che la classificazione sia utile per determinate applicazioni.
Per esempio, la primissima e più nota classificazione è quella secondo le tre Declinazioni, in -are, -ere ed -ire. L'utilità di questa classificazione risiede nel semplificare il processo mnemonico di apprendimento delle coniugazioni, perché tutti i verbi regolari, quindi circa l'80% dei verbi, si uniforma ad uno stesso canone di coniugazione: quello che è riportato nelle cosiddette Tavole di Coniugazione presenti in tutte le grammatiche della lingua Italiana.
Ma anche questa classificazione, familiare a tutti, non è poi così semplice: intanto, assegnamo la II Declinazione anche ai verbi in -arre, -orre ed -urre, che derivano da verbi della II Declinazione latina, come <produrre> che deriva da <producere>, ampliando così un poco la nostra iniziale semplicissima regoletta. Formalmente, potremmo dire che:
1) i verbi italiani che terminano in are appartengono alla I Declinazione,
2) i verbi italiani che terminano in (e|[aou]r)re appartengono alla II Declinazione,
3) i verbi italiani che terminano in ire appartengono alla III Declinazione.

Anche per il nostro iniziale scopo, ovvero fare riferimento a tavole di coniugazione standard almeno per i verbi regolari, queste regole presentano già problemi: i verbi in -ire hanno due forme di coniugazione leggermente diverse, quella che semplicemente leva la desinenza -ire e aggiunge la desinenza specifica del Modo e Tempo appropriato (come <dorm-ire> che si coniuga in <dorm-o>, <dorm-i>, <dorm-e> etc.), e quella che inserisce il gruppo -isc- tra il tema e la desinenza (come <poltrire> che si coniuga in <poltr-isc-o>, <poltr-isc-i>, <poltr-isc-e> etc.). Con grande dolore per il nostro amore per la semplicità, nelle tavole di declinazione dobbiamo considerare due forme di declinazione diverse per i verbi della III Declinazione. Ma le cose non sono così semplici: al verbo <fare>, poiché deriva dal verbo latino <*facere>, e ai suoi derivati, si assegna tradizionalmente la II Declinazione. Se consideriamo anche solo questi aspetti, le regolette cominciano a complicarsi:
1a) i verbi italiani che terminano in [^f]are appartengono alla I Declinazione,
1b) anche i verbi italiani che terminano in fare ma non in (arte|assue|contraf|con|dis|lique|putre|ri|rare|soddis|sopraf|stupe|s|torre|tume)fare appartengono alla I Declinazione,
2a) i verbi italiani che terminano in (e|[aou]r)re appartengono alla II Declinazione,
2b) anche i verbi italiani che terminano in (arte|assue|contraf|con|dis|lique|putre|ri|rare|soddis|sopraf|stupe|s|torre|tume)fare appartengono alla II Declinazione,
*3) i verbi italiani che terminano in ire appartengono alla III Declinazione (che ha due tavole di coniugazione standard).

Le cose si complicano, almeno in quanto ad espressione delle regole, se consideriamo verbi come <pentirsi>: nel caso specifico dovremmo aggiungere anche la regola
3b) anche i verbi italiani che terminano in irsi appartengono alla III Declinazione.
e altre simile per le altre declinazioni e per altri pronomi enclitici al verbo.

Non vogliamo criticare uno schema di classificazione dei verbi (quello rappresentato dalle regole 1), 2) e 3)) che ha servito e serve utilmente studenti di tutte le nazionalità che vogliono apprendere le coniugazioni dei verbi italiani, ma è chiaro che queste regole sono poco adatte ai nostri scopi. La classificazione che interessa per questo lavoro è quella che ci permette di coniugare il verbo e di analizzare le voci verbali, e su questa ci focalizziamo: la abbiamo chiamata CLASSIFICAZIONE FORMALE perché si basa sull'aspetto della stringa alfabetica e sul suo valore semantico. Rinunciamo dunque alla classificazione dei verbi secondo le tre Declinazioni, e aderiamo in modo rigoroso alla impostazione formale che abbiamo preso per guida, dicendo che:
un verbo ha ASPETTO BASE se termina ([aei]|[aou]r)re.
un verbo ha ASPETTO PRONOMINALE se termina ([aei]|[aou]r)r(ci|lo|la|le|ne|si).
un verbo ha ASPETTO BI-PRONOMINALE se termina ([aei]|[aou]r)r((ce|se)(lo|la|le|ne)|cisi).

Questa classificazione, adatta a gestire regole automatiche di coniugazione, non dà adito a confusione (infatti, un verbo non può avere più di un ASPETTO), ma occorre valutare attentamente quale stringa considerare per rappresentare un determinato verbo, e questo può essere fatto solo sulla base dei valori semantici.

1. ASPETTO BASE

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Appartengono a questo gruppo tutti i verbi terminano con il gruppo ([aei]|[aou]r)re.

2. ASPETTO PRONOMINALE

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Appartengono a questo gruppo i verbi che, al gruppo ([aei]|[aou]r)re, tolgono la <-e> finale per sostituirla con un pronome. Quale pronome? In linea di principio, un qualunque pronome dei pronomi personali con funzione di complemento espresso in forma atona (gli, lo, la, li, le, ne, si, mi, ti, ci, vi) si potrebbe prestare allo scopo. Ma il problema da risolvere, per chi volesse definire un elenco di verbi che non avesse inutili ridondanze, consiste nel distinguere tra un verbo realmente di ASPETTO PRONOMINALE da una forma verbale enclitica di un verbo cha ASPETTO BASE. Analizziamo questo aspetto della classificazione aiutandoci con alcuni esempi. La stringa <pentirsi> ha ovviamente ASPETTO PRONOMINALE, e non esiste una stringa che rappresenti lo stesso verbo, ovvero la stessa classe di concetti, ma avente ASPETTO BASE: la stringa <*pentire> non esiste (o meglio, non esiste più) in Italiano, e possiamo quindi dire che esiste il verbo pentirsi. Diversamente nel caso di <lavarsi>, la classe di concetti sottesa è un sottoinsieme di quella sottesa dalla stringa <lavare>, che ha ASPETTO BASE, e dunque diremo che non esiste un verbo *lavarsi ma esiste piuttosto il verbo lavare. Questo punto è molto importante: da qualunque verbo transitivo con ASPETTO BASE può essere generata una nuova stringa pronominale sostituendo la lettera -e dalla desinenza dell'Infinito con il pronome -si, ma questa operazione non produce un nuovo verbo! Abbiamo un nuovo verbo solo quando l'unione degli insiemi dei concetti sottesi dalle due stringhe non coincide con uno dei due insiemi.
Dunque è chiaro che il definire se una stringa rappresenti o meno un verbo è questione assolutamente semantica, e approfondiamo la questione prendendo un verbo come <convenirne>. Il primo punto da chiarire è se sia necessario considerare <convenirne> come un verbo diverso dal verbo <convenire>, che esiste. Il verbo <convenire>, che chiamiamo <007>, si appoggia sulla classe dei significati legati all'idea di recarsi, insieme ad altri che provengono da altri luoghi, in un determinato luogo comune nel quale ci si incontrerà: <siamo convenuti in Piazza San Marco>, per esempio. Ben diverso è il significato di <convenirne>, che chiamiamo <008>, che attiene all'idea di trovare un accordo o un punto di intesa comune, come in <sarebbe stato un errore, ne abbiamo convenuto>. Si intuisce una origine comune tra le due parole, ma la differenza di significato è assai marcata, il primo dei due verbi esprimendo un atto di moto fisico, il secondo una convergenza figurata o intellettuale.

Una piccola osservazione: la stringa <convenire> cosa rappresenta? Si deve osservare che essa può essere usata in forme verbali pertinenti al significato del verbo <008>, per esempio dicendo <non è stato facile convenire che si sarebbe fatto un errore>.

Qui l'ambiguità derivante dall'usare una forma comprensibile per dare il nome ai VERBI nel senso definito all'inizio di questo lavoro, appare, lasciatemi dire, in tutta la sua drammaticità: diventa difficile dire che il verbo <convenire> nel significato di convergenza di idee o di intenti non esiste. In realtà il formalismo che abbiamo introdotto ci mostra ora la sua efficacia: infatti, per essere precisi, dobbiamo dire che:
a. <convenire> = nome del verbo <007>,
b. <convenire> = modo Infinito tempo Presente del verbo <007>, che accidentalmente coincide con il nome del verbo <007>,

  • C. <convenire> = modo Infinito tempo Presente del verbo <008>, che non coincide con il nome del verbo <008>.


La distinzione concettuale è così chiara e libera da ambiguità: il verbo <convenire> nel significato di convergenza di idee o di intenti non esiste, mentre esiste la sua voce verbale <convenire>.

3. ASPETTO BI-PRONOMINALE

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Appartengono a questo gruppo i verbi che terminano con due pronomi, come <mettercela> (es. in <ce la metteremo tutta>). Anche qui, le combinazioni di pronomi sarebbero teoricamente tutte, ma di fatto abbiamo due combinazioni che ricorrono: quelle del tipo [aeiou]rce(lo|la|li|le|ne) e quelle del tipo [aeiou]rse((lo|la|li|le|ne)|cisi).
I verbi con ASPETTO BI-PRONOMINALE sono spesso, ma non solo, legati a neologismi e anche in questi casi l'estensore di un elenco di verbi deve determinare se si tratti di un verbo veramente di ASPETTO BI-PRONOMINALE o se si tratti di una forma enclitica di un verbo avente ASPETTO BASE o ASPETTO PRONOMINALE.
A titolo di esempio ne analizziamo uno per tutti: la stringa <darsela>. La forma di questa stringa la classifica come un verbo con ASPETTO BI-PRONOMINALE. La prima domanda da porsi è se tale verbo esista, o se sia, come nel caso di <lavarsi>, una forma composta di un verbo che potrebbe avere ASPETTO BASE o ASPETTO PRONOMINALE. La stringa <dare> sarebbe ovviamente la voce con ASPETTO BASE corrispondente, ma è chiaro che il significato del verbo dare è assai differente da quello del verbo darsela. Similmente per <darsi>, che potrebbe essere l'ASPETTO PRONOMINALE: ma anche darsi ha un significato ancora diverso, e lo consideriamo dunque come un verbo a sè stante . Quindi:
darsi attiene ai concetti di {concedere sè stesso, dedicare sè stesso, ...}
darsela attiene ai concetti di {capire, intuire, immaginare, ...}

Già che ci siamo osserviamo che per quanto riguarda dare siamo di nuovo in presenza di un verbo dai molteplici significati: si dice infatti <dare un esame> dove il verbo dare ha un significato che potremmo chiamare 1dare, e si dice anche <dare un fiore> dove il verbo dare ha un altro significato che potremmo chiamare 2dare: situazione non nuova, e che dal punto di vista della coniugazione del verbo dare non crea problemi, essendo sia 1dare che 2dare verbi transitivi.

4. I Verbi Irregolari

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Accanto alle famose 'tre regolette' che abbiamo presentato all'inizio per definire a quale Declinazione appartiene un verbo, e quindi quale è la tavola di coniugazione standard che si applica ad esso, si usa tradizionalmente classificare i verbi in regolari (se seguono i canoni), irregolari (se non seguono i canoni e mutano per esempio il tema), difettivi (se mancano di alcuni Modi o Tempi di coniugazione).
Di fatto, allo scopo della coniugazione automatica dei verbi (e dell'analisi automatica delle forme verbali), non è di alcuna utilità distinguere i verbi rispetto alla loro regolarità o meno nella coniugazione. Si introduce invece il concetto di REGOLA FONOMORFOLOGICA che ci dice quali desinenze sono appropriate per un dato verbo e per una data voce di coniugazione. Tali REGOLE possono essere molto generali, ovvero applicarsi a molti verbi, o molto specifiche, ovvero applicarsi ad un numero molto ristretto di verbi, certo è che per ogni verbo di un gruppo fonomorfologicamente simile ve ne sarà almeno una per ogni voce di coniugazione ammessa, e nessuna se il gruppo fonomorfologico in questione è difettivo.
Consideriamo ad esempio piuttosto semplice: un paio di voci della coniugazione dei verbi in [cg]are e [cg]iare. La regola è che si usi la h quando occorra ricordare il valore duro della c e della g, che si perderebbe davanti a vocali come i ed e: quindi avremo <preg-o> senza la h e <pregh-i> con la h. E la regola simile ma opposta si applica per i verbi in [cg]iare, che tengono la i davanti ad a e o altrimenti c e g sarebbero dure, mentre la perdono davanti alle vocali e ed i, perché davanti ad esse sono comunque dolci: quindi avremo <baci-o> che mantiene la i e <bac-erei> che la perde perche c seguita da e è dolce.
È chiaro a questo punto che le regole fonomorfologiche possono essere assai più complicate di queste che abbiamo analizzato, e possono coprire anche le forme cosiddette irregolari dei verbi, anche quelle così irregolari come produrre <vado> da <andare>: il concetto di verbo irregolare, per gli scopi della coniugazione automatica, risulta del tutto superfluo.

La Transitività dei Verbi

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Le Forme di Coniugazione

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parlare[1]credere,sentire

I Verbi Ausiliari

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I verbi ausiliari(essere e avere) non appartengono a nessuna delle tre declinazioni poiché hanno coniugazione propria.

La Struttura di Modi e Tempi

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I Verbi Modali

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  1. pensare