Mercato agricolo mondiale

Da alcuni decenni la politica agricola mondiale era stata caratterizzata dal problema della gestione delle eccedenze agricole. Ora con una svolta repentina il mondo si trova di fronte all'eventualità di una carenza diffusa di quasi tutti i prodotti Il presidente di Confindustria, Montezemolo, ha rilasciato una intervista in cui riferiva i dati recenti sul di disavanzo commerciale americano. È da decenni che il disavanzo valutario americano, sommatoria dell'acquisto di materie prime, di beni di consumo, di astronomiche spese militari all'estero, è una voragine immensa, ma non suscitava la preoccupazione del governo americano, che, disponendo della prima moneta degli scambi internazionali, poteva stampare banconote, o vendere titoli del debito pubblico, nella certezza che tutti i paesi del mondo li avrebbero riposti nei forzieri delle proprie riserve. Pareggiando tutte le spese.

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Mercato agricolo mondiale
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Economia agraria

Da allora gli Stati Uniti hanno continuato a spendere all'estero cifre astronomiche e a pagare con dollari e titoli di stato, ma siccome la loro economia non rappresenta più, nel contesto planetario, l'entità prevalente e dominante, e il rapporto tra i dollari nei forzieri delle banche del Mondo e la ricchezza reale americana non garantisce più il valore di quei dollari, assistiamo, da un lustro, a un declino della moneta americana che nessuno, all'inizio, accettava potesse essere fenomeno permanente, che analisti sempre più numerosi reputano, ormai, fenomeno irreversibile. Semplicemente perché se tutti i detentori di dollari, o di titoli americani, pretendessero di convertire la loro carta in beni economici, gli Stati Uniti sarebbero incapaci di rispondere alla domanda.

Lo squilibrio tra entità della carta stampata con l'effige di George Washington e la ricchezza americana ha condotto al declino del dollaro, che è verosimile si svilupperà parallelamente al declino dell'economia americana quale prima economia del Pianeta. Ma gli Stati Uniti disponevano di un'arma formidabile per arrestare, o, quantomeno, ritardare il proprio declino: l'hanno usata, le conseguenze non sono ancora appariscenti, ma non potranno mancare di proporsi, anche se chi ci governa e chi ci informa pare non essersi accorto di nulla. Hanno impiegato l'arma di cui felicemente nessuno parlava, di cui si sono preoccupati di conservare, a qualsiasi prezzo, la maggiore efficienza, l'arma dei cereali. Nel 1973, durante l'ultima crisi dei mercati agricoli della storia internazionale, l'attenzione che gli analisti americani dedicavano al rapporto bushel/barrel, staio di frumento (32 kg) per barile di petrolio (160 litri). Di fronte all'impennata del prezzo del petrolio con cui l'Opec sfidò l'Occidente industriale più di una voce americana proclamò che reagendo al ricatto petrolifero gli Stati Uniti avrebbero potuto rifornire di cereali solo i paesi amici: consistendo le esportazioni americane di un'entità vicina alla metà degli scambi mondiali, e potendo contare gli Stati Uniti sulla dipendenza politica di Canada e Argentina, titolari dell'altra metà, l'ipotesi corrispondeva alla minaccia di affamare il Pianeta. Si scrisse che alla sfida dell'oilpower aveva risposto quella dell'agripower

Il quadro mondiale si sarebbe rasserenato, i mercati sarebbero sprofondati nell'abbondanza, i ministri americani avrebbero profuso tutta la solerzia per ribadire che chi aveva minacciato di affamare il Pianeta non rappresentava voce responsabile, che gli Stati Uniti costituivano il primo esportatore mondiale ed il più reliable: sicuro, immancabile. L'aggettivo reliable è stato una delle chiavi logiche dello scontro che ha opposto Stati Uniti e Comunità Europea sulla politica agraria praticata sulla sponda orientale dell'Atlantico. Con tenacia gli Stati Uniti hanno preteso, fino dagli anni Settanta, lo smantellamento della macchina agricola costruita, sulla sponda opposta dell'Oceano, sul patto, sancito da Adenauer, Schumann e De Gasperi, che i popoli d'Europa non avrebbero mai più dovuto misurarsi con la penuria e la fame che avevano conosciuto, tragicamente, tra il 1944 e il 1946. I nostri agricoltori sono più efficienti, hanno proclamato, per trent'anni, i negoziatori americani, hanno il diritto naturale di vendere ai vostri consumatori. I vostri agricoltori debbono cessare una produzione antieconomica. I vostri consumatori beneficeranno dei nostri prezzi, senza timori insensati sul futuro: siamo il fornitore più reliable del Pianeta. Per chi non abbia seguito le tappe della contesa si può ricordare che dal proprio ingresso nella Comunità la Gran Bretagna, per vocazione furiere fedele dell'antica colonia, si è impegnata allo smantellamento dell'antica politica agricola comune, trovando alleati solerti nel mondo industriale e nella stampa continentali, che hanno combattuto la propria gloriosa guerra contro i surplus che della sicurezza alimentare costituivano il corollario: al clima è difficile dettare imposizioni, in ogni annata favorevole un apparato agricolo costruito per assicurare rifornimenti sicuri non può non produrre surplus. Bob Bergland, ministro dell'agricoltura di Jmmy Carter, ripeteva che “le scorte strategiche sono surplus che tutti contendono, i surplus sono scorte di cui tutti vogliono disfarsi”. Mentre sulla sponda opposta dell'Atlantico si continuava a sostenere un'agricoltura che producesse scorte, su quella europea la lotta contro i mulini a vento ha portato a ridimensionare radicalmente il comparto agricolo. Un ministro dell'agricoltura, il professor De Castro, ha scritto un libro per vantare di avere infranto l'alleanza pluridecennale con la Francia, sostenitrice di un'antiquata politica della sicurezza, unendosi, per demolire l'apparato obsoleto, alla Gran Bretagna. Il risultato: su quattro chili di pane che mangiamo tre sono prodotti con frumento di importazione, tutto il fabbisogno di panelli proteici, il perno dell'allevamento moderno, è oggetto di importazione, come lo è, da un anno, quasi interamente, lo zucchero che consumiamo. Bushel for barrel: per quarant'anni gli artefici della strategia economica americana hanno assistito, apparentemente indifferenti, al declino del valore del grano rispetto a quello del petrolio: il dollaro consentiva di comprare petrolio a prezzi sostanzialmente vantaggiosi. Quando il dollaro è crollato, gli strateghi hanno deciso: gli Stati Uniti trasformeranno il proprio mais in alcol, invece di dirigerlo agli allevamenti del Pianeta dirigendolo alle stazioni di servizio dove gli americani ricolmano il serbatoio.

La strategia americana è di semplicità esemplare: in tre anni il Corn Belt, la fascia maidicola che comprende Illinois, Indiana, Wisconsin, Michigan e parte degli stati limitrofi, sarà disseminata di impianti di distillazione di dimensioni medio-piccole, dove gli agricoltori porteranno, con il trattore, il mais scaricato dalla mietitrebbia, riportando, sullo stesso rimorchio, i resti proteici della fermentazione per i propri bovini e i propri suini. Per il consumatore americano la carne non costerà di più. Siccome, senza il mais americano, miliardi di consumatori non potranno più acquistare pollo o maiale prodotti nel proprio paese, è probabile che per gli allevatori del Corn Bel che non cederanno più il raccolto a un esportatore, ma lo porteranno ad una distilleria per convertirlo in corn gluten, si dischiudano orizzonti radiosi.

Bushel for barrel: lo scrivevano gli economisti americani nel 1973. Petrolio per pane. Mentre i ministri dell'agricoltura che si succedevano nel palazzo ottocentesco sul Mall di Washington continuavano a giurare che gli States erano il più reliable dei fornitori mondiali, l'opzione di reagire al rincaro del petrolio rendendo più cari, per tutti gli abitanti del Pianeta, carne, latte e uova, ha continuato, verosimilmente, a interessare, come ipotesi strategica, gli inquilini di un altro dei palazzi che si affacciano sui platani del Mall, la Segreteria di Stato. Quando il petrolio ha puntato verso i cento dollari, il prezzo dello staio, 3 dollari, tanto vicino all'1,5 del 1972, tre dollari dal valore intrinseco tanto ridotto, ha imposto la svolta. Una svolta imposta al Pianeta, che ancora non se ne è accorto.